Il 23 marzo di trenta anni fa esplode il più grande scandalo calcisti-co che la storia italiana recente ricordi. Il Calcioscommesse, cono-sciuto anche come ‘Totonero’, una realtà di scommesse clandestine e partite combinate che culmina in quella fatidica domenica in cui viene “arrestato il calcio”. Le manette scattano direttamente negli stadi. La vicenda prosegue poi tra carceri e tribunali civili e sportivi che sanciscono radiazioni, pesanti squalifiche, retrocessioni e pena-lizzazioni. Ne sono coinvolti numerosi giocatori, anche di primissimo piano, allenatori, presidenti, società. La portata dell’evento non co-nosce precedenti.
Quello del Calcioscommesse è uno dei capitoli più controversi, con-torti e oscuri del nostro calcio. Prima di riviverlo, poiché l’associa-zione mentale con la più recente Moggiopoli è pressoché istantanea, cerchiamo di chiarirne le differenze, sottili ma fondamentali. Il Cal-cioscommesse 1980, come poi vedremo, scaturisce da una serie di partite combinate, Moggiopoli 2006 da partite truccate, nell’accezio-ne più classica e generica del termine. Sebbene siano entrambe ma-novre punibili dalla giustizia sportiva, la differenza è sostanziale: le prime non alterano l’esito dei campionati, le seconde sì. Le prime fanno parte del gioco, le seconde incidono slealmente sulla classifica.
Le combine sono sempre esistite. Avvengono soprattutto durante le fasi centrali e conclusive dei campionati, cioè quando, calendario al-la mano, è possibile farsi calcoli di convenienza in virtù di una clas-sifica già delineata. Il risultato combinato è uno e unico, il pareggio. Si punta allo zero a zero, evitando così situazioni imbarazzanti (gol forzati e svarioni sospetti) e rischi di ogni sorta. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di taciti accordi: se ad entrambe le squadre la classifica suggerisce l’equa e ghiotta spartizione dei pun-ti, pari sarà. In parole povere, il pareggio deve convenire, non reca-re danno (altrimenti si parlerebbe non di combine ma di partita let-teralmente venduta all’avversario).
Le ragioni del cosiddetto biscotto sono molteplici. Innanzitutto, ab-biamo detto, l’interesse comune, ma anche un piacere che può esse-re reso in futuro, un’amicizia tra dirigenti, o tra gli stessi giocatori (talvolta anche all’insaputa delle società), oppure ancora una esplici-ta richiesta d'aiuto da parte della squadra più in difficoltà. Non c’è da scandalizzarsi, va così dacché il mondo è mondo.
Quindi, tornando ai fatti, il Totonero 1980 non va direttamente a falsare campionato e classifica finale, semmai attecchisce intorno a pratiche di per sé già diffuse e collaudate. L’obiettivo degli scom-mettitori, infatti, non è favorire una qualsiasi squadra bensì assicu-rarsi forti vincite economiche. E soprattutto quando le puntate sono molto elevate l’unico modo per limitare i rischi è tenere d’occhio le combine. Oppure invogliarle (naturalmente, se le due squadre sono già in odore di pareggio).
*****
Il campionato 1979-80, per una strana serie di circostanze, vede in-tensificarsi il (preesistente) giro di scommesse clandestine attorno alle (preesistenti) combine. Diciamo che i due fenomeni vanno fatal-mente ad incrociarsi. Personaggio chiave della vicenda è tale Massi-mo Cruciani, romano, commerciante di frutta all’ingrosso. Definirlo un delinquente, francamente, è esagerato. Per indole e attività lavo-rativa, nella capitale è abbastanza conosciuto: amichevole, disponibi-le, scommettitore accanito, tifoso e assiduo frequentatore del ritiro romanista di Grottaferrata, riesce ad entrare in contatto con i gio-catori facilmente, millantando amicizie e dispensando favori. Tutto sommato gli piace apparire anche più intrallazzato e intrallazzatore di quanto effettivamente non sia.
Intanto, la sua attività di fornitore di frutta e verdura gli permette di conoscere e frequentare un certo Alvaro Trinca, proprietario del ristorante La Lampara, il quale a sua volta dice a Cruciani di avere contatti con alcuni giocatori della Lazio e di essere al corrente di numerose partite combinate su cui poter scommettere con sicurezza e di altrettante che si presterebbero ad essere accomodate.
In poco tempo i due soci mettono su una fitta rete di contatti con calciatori di serie A e B. In pratica questi ultimi fungono da informa-tori per le combine in corso e, in cambio di denaro, si rendono anche disponibili ad aggiustare partite aggiustabili, non di rado scommet-tendovi su (reato in sé in quanto ai tesserati è vietato scommette-re). Ne scaturisce un giro vorticoso. Nell’ambiente calcistico ne sono consapevoli un po’ tutti (giocatori, allenatori, dirigenti, arbitri, ad-detti ai lavori): sia chi ci sguazza, sia chi effettivamente non è co-involto in quelle vicende. D’altronde, un occhio esperto ci mette poco ad accorgersi di una combine, se c’è. Basta guardare classifica delle squadre e comportamento in campo.
Difatti, già dalla seconda metà degli anni Settanta, circolano voci di scommesse clandestine legate a partite combinate. Nasce il termine Totonero, con il quale si indica piuttosto un problema sociale, cir-coscritto a certi ambienti malavitosi comunque estranei al calcio. Si parla anche di piazze calde, come Torino, Milano, Firenze e la stessa Roma. Ma il caso romano presenta un quadro decisamente diverso, in quanto contatti e collusioni con il mondo del calcio sono continui e massicci.
*****
Da subito, per Cruciani e Trinca si rivela un gioco a perdere: riten-gono di poter gestire la situazione a loro piacimento, invece ne di-ventano vittime. E in pochi mesi vanno ad impelagarsi in una spirale che li riduce sul lastrico. I due soci in affari puntano ingenti somme di denaro su risultati che ritengono sicuri, convinzione legittimata dalle mazzette che, di volta in volta, finiscono nelle mani dei calcia-tori di turno. Di solito (e soprattutto dopo le prime perdite) non si limitano ad una singola giocata e abbinano più incontri: la famosa scommessa multipla denominata martingala. Ma non sempre le parti-te terminano come dovrebbero. E, comunque, è sufficiente che non se ne incastri una per mandare all’aria vincita e centinaia di milioni, cosa che accade quasi sistematicamente.
Come è possibile che ciò avvenga? Come mai gli accordi non sempre vengono rispettati? Non esiste un’unica risposta perché ogni partita combinata ha una diversa storia sia alle spalle sia, per così dire, in corso d’opera. Può succedere che i giocatori, quando ormai è tardi, si rendano conto che la combine non è più possibile, che decidano di cambiare idea dopo aver consultato alcuni compagni, oppure ancora che prendano soldi per poi lasciare che la partita faccia il suo natu-rale corso. Con Cruciani e Trinca i calciatori hanno il coltello dalla parte del manico: alcuni di essi incaricano Cruciani di scommettere per loro decine di milioni, tramite semplici accordi verbali, senza poi pagare i debiti. Semmai, lo rassicurano con promesse per partite successive.
Ma gli accordi, pur volendoli rispettare, possono anche saltare in campo, se cambiano gli interessi o i risultati dagli altri campi, se su-bentrano rischi o, caso più raro, se la partita sfugge improvvisamen-te e irrimediabilmente di mano. I pericoli maggiori, nonché causa del patatrac, derivano dalla non consapevolezza, da parte di tutta la squadra, di una combine in atto (in linea di massima, cinque o sei giocatori sono sufficienti per accomodare un risultato).
In una maniera o in un’altra, le partite continuano a non incastrarsi e in pochi mesi Cruciani e Trinca solo al collasso.
*****
Bologna-Avellino, del 10 febbraio 1980, è la partita che fa definitiva-mente saltare il banco. L’accordo è per il pareggio. “Durante la setti-mana – racconterà Trinca a L’Espresso – prendemmo contatti con Ste-fano Pellegrini e altri giocatori dell’Avellino. Loro dissero: «Non c’è bisogno di accordi, né soldi. Pareggiare a Bologna ci sta bene». Per il Bologna ci accordammo con Petrini, Savoldi, Colomba, Dossena, Zi-netti e Paris”. Vengono giocate puntate altissime. Il primo tempo si conclude zero a zero, e tutto lascia supporre che la partita finisca in parità. Ma, a soli venti minuti dalla fine, Savoldi mette la palla in rete. A quel punto la situazione è difficilmente recuperabile, anche perché solo metà squadra del Bologna sa dell’accordo. Il risultato, infatti, non cambia più. “Questa sconfitta – dichiara a fine partita l’allenatore dell’Avellino, Rino Marchesi – ha origini che vanno al di là di quello che le squadre hanno fatto in campo”. Tuttavia, il vero problema non sono le frasi rilasciate a caldo (e poi corrette-rettifi-cate-smentite in settimana) dai protagonisti, quanto le pericolose ri-percussioni sul giro di scommesse clandestine. “La partita – aggiun-ge Trinca – non rispettò le promesse e noi perdemmo tutti i soldi. A quel punto eravamo completamente rovinati. Avevamo un debito con gli allibratori clandestini di ben 950 milioni. Soldi che, in gran parte, ci erano stati truffati dai calciatori. Non ci restava che una sola cosa da fare: l’esposto alla magistratura”.
Sabato 1 marzo 1980, Cruciani presenta un esposto alla Procura della Repubblica di Roma, proclamandosi vittima di una clamorosa truffa.
XXXXIll.mo Signor Procuratore, io sottoscritto Cruciani Massimo, nato a Roma, il 15.8.1948 sottopongo alla cortese attenzione della S.V. il seguente esposto. I fatti sottoelencati sono estremamente scarni, vista l’estrema complessità della vicenda; per cui, nel pormi a completa disposizione, fornirò in prosieguo tutti i dettagli che la S.V. riterrà utili ai fini dell’indagine.
Verso la metà del 1979, frequentando il ristorante "La Lampara", di proprietà del sig. Alvaro Trinca, che rifornivo di frutta possedendo un magazzino all’ingrosso, ebbi modo di conoscere alcuni giocatori di calcio, fra i quali, in particolare, Bruno Giordano, Giuseppe Wilson, Lionello Manfredonia, Massimo Cacciatori. Interven-nero gradualmente, con costoro, dei rapporti di amicizia, alimentati dal mio interesse per il calcio e per le scommesse clandestine. I quattro giocatori, in proposito, mi dissero chiaramente che era possibile “truccare” i risultati delle partite, ovviamente scommettendo sul sicuro. Mi precisarono, a titolo di esempio, che era scontato il risultato della partita (amichevole) Palermo-Lazio, giocata, mi pare, nel mese di ottobre 1979, attraverso l’intervento di Guido Magherini, giocatore del Palermo.
Accettai l’idea e decisi di intraprendere una serie di attività di gioco con i suddetti giocatori ed altri che, di volta in volta, come mi si disse, si sarebbero dichiarati disponibili. Iniziò così, per me, una vera odissea che mi ha praticamen-te ridotto sul lastrico ed esposto ad una serie di intimidazioni e minacce.
Come ho già detto, l’intera vicenda è costellata di tali e tanti episodi dettagliati che, in questa sede, mi limiterò ad illustrarne alcuni.
Ad esempio, successivamente alla partita Palermo-Lazio accennata, presi con-tatti con il Magherini per combinare il risultato della partita Taranto-Palermo prevista per il 9.12.1979. In proposito, il Magherini organizzò il pareggio delle due squadre a patto che io giocassi sul risultato, nel suo interesse, L. 10 milioni e altri L. 10 milioni consegnassi a Renzo Rossi e Giovanni Quadri del Taranto. Contrariamente ai patti, vinse il Palermo. Il Magherini, a quel punto, avrebbe dovuto rifondermi i L. 10 milioni giocati per lui e i L. 10 milioni consegnati ai giocatori del Taranto, ma si rifiutò. Inoltre, in seguito al mancato rispetto degli accordi, ho perduto, insieme ad altri scommettitori che meglio preciserò in seguito, L. 160 milioni presso svariati allibratori clandestini.
A seguito delle mie rimostranze, il Magherini mi promise il risultato certo della partita Lanerossi Vicenza-Lecce. Nella stessa occasione, egli combinò, d’ac-cordo con i citati giocatori della Lazio, il risultato della partita Milan-Lazio (entrambe le partite ebbero luogo il 6.1.1980). Per quanto riguarda la partita Lanerossi Vicenza-Lecce, il Magherini mi mise in contatto con Claudio Merlo, giocatore del Lecce, il quale ricevette da me un assegno di L. 30 milioni assicurando la sconfitta della sua squadra. Per quanto riguarda l’altra partita Milan-Lazio, i giocatori Giordano, Wilson, Manfredonia e Cacciatori si accorda-rono con Enrico Albertosi del Milan affinché vincesse appunto il Milan. Per quest’ultima partita consegnai tre assegni da L. 15 milioni e due da L. 10 milioni a Giordano, Wilson, Manfredonia, Viola e Garlaschelli, affidandoli materialmente a Manfredonia. Ulteriore assegno da L. 15 milioni consegnai a Massimo Cacciatori (Lazio) il quale provvide ad incassarlo intestandolo a certo signor Orazio Scala. Il Milan, da parte sua, contribuì alla combine con l’invio di L. 20 milioni liquidi che mi portò a Roma, nel mio magazzino di via (omissis) il giocatore di tale squadra Giorgio Morini, due giorni dopo il rispettato esito dell’incontro. In conseguenza dei citati accordi ed in cambio del loro contributo, Wilson, Manfredonia, Giordano e Cacciatori mi chiesero di puntare per loro L. 20 milioni sulla sconfitta della Lazio. La vincita di L. 80 milioni, d’accordo con i quattro, anziché con-segnarglieli, avrei dovuto usarli per pagare i giocatori dell’Avellino (Cesare Cat-taneo, Salvatore Di Somma e Stefano Pellegrini) i quali avrebbero dovuto perdere contro la Lazio la settimana successiva.
Io ed altri scommettitori, in base agli accordi di cui sopra, abbiamo scommesso per l’accoppiata costituita dai due risultati concordati circa L. 200 milioni: somma perduta per il mancato rispetto dell’impegno assunto dalla squadra leccese la quale ha pareggiato per 1-1.
Tutto quanto sopra costituisce solo un esempio di come si svolgessero i moltissimi episodi di cui è costellata questa storia.
Desidero peraltro precisare che le squadre coinvolte in questa storia sono anche l’Avellino, il Genoa, il Bologna, la Juventus, il Perugia, il Napoli. Ciò nel senso che alcuni dei loro giocatori come Petrini, Savoldi, Colomba, Dossena, Zinetti, Paris (tutti del Bologna), Damiani e Agostinelli (del Napoli), Rossi, Della Martira e Casarsa (del Perugia), Girardi (del Genoa) ed altri hanno partecipato ad incontri truccati percependo denaro o richiedendo, in cambio dei loro favori, forti puntate nel loro interesse.
Ho invece rimesso, insieme ad altri scommettitori, centinaia e centinaia di milioni per scommesse perdute in seguito al mancato rispetto di precisi e retribuiti accordi da parte dei giocatori. Preciso ancora che molti allibratori clandestini i quali a seguito delle recenti notizie giornalistiche hanno capito di avermi talora pagato vincite in ordine a risultati precostituiti hanno preteso, con gravi minacce, la restituzione di circa L. 300 milioni (da me e da altri scommettitori). Sono ormai completamente rovinato, eppure vivo ancora nel terrore di minacce e rappresaglie.
Nel confermarmi a completa disposizione della S.V. Ill.ma, e riservandomi di presentare la documentazione in mio possesso, precisare nomi di testimoni e tutte quelle circostanze che la S.V. riterrà utili, porgo deferenti ossequi.
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXRoma, 1 marzo 1980
La notizia dell’esposto di Cruciani arriva solo il giorno dopo, nel tar-do pomeriggio di domenica 2 marzo. Con dovizia di particolari sono riportati nomi, società, partite, date ed una lunga concatenazione di avvenimenti. Ma l’impressione generale è che sia solo la punta di un iceberg e che presto possa saltar fuori molto altro ancora.
Se ne parla subito in serata alla Domenica Sportiva. Caso vuole che in studio ci sia proprio Enrico Albertosi: “Tutte frottole, non è vero niente, tutto inventato”. Ma termini e portata della denuncia non lasciano scampo. Per quale motivo un fruttivendolo avrebbe dovuto inventarsi tutto andando sicuramente incontro ad una serie di de-nunce per diffamazione? Il lunedì i giornali escono con titoloni a nove colonne. In Italia non si parla d’altro. La FIGC si vede “costretta” ad aprire un’inchiesta federale.
Mentre il campionato prosegue in un clima surreale, tra la preoc-cupazione dei calciatori (consapevoli che il peggio debba ancora ar-rivare) e lo sgomento del pubblico, Giustizia Ordinaria e Giustizia Sportiva si mettono al lavoro, con Cruciani e Trinca che cominciano a rispondere alle domande dei magistrati di Roma.
Domenica 16 marzo i giornali scrivono di una prima serie di comu-nicazioni giudiziarie che sarebbero state notificate, tra gli altri, an-che ai presidenti e allenatori di Juventus (Boniperti e Trapattoni) e Bologna (Fabbretti e Perani) per la presunta combine di Bologna-Juventus, partita del 13 gennaio 1980 terminata 1-1 (gol di Causio e pareggio, 14 minuti dopo, grazie ad un’autorete di Brio). “Per Bo-logna-Juve – si legge sempre nel memoriale di Trinca – Cruciani mi aveva riferito che il risultato era stato già pattuito dal presidente della Juventus, Boniperti, e da quello del Bologna, Fabbretti. Era una partita talmente sicura che a Cruciani telefonarono Carlo Petrini e Giuseppe Savoldi del Bologna chiedendogli di puntare a loro nome e di altri compagni 50 milioni sul pareggio. E facemmo altre puntate a nomi di altri giocatori di cui, per ora, non faccio il nome”.
Si arriva così al 23 marzo 1980, la domenica in cui viene “arrestato il calcio”.
*****
Sono appena terminate le partite e, a bordo campo, le camionette di Polizia e Guardia di Finanza sono già schierate. Per 14 calciatori è disposto l’ordine di cattura, per altri 23 l’ordine di comparizione. L’accusa, per tutti, è di Truffa continua e aggravata. Con un’opera-zione, a detta di molti, sin troppo spettacolare, i giocatori vengono prelevati direttamente dagli spogliatoi e portati via in manette, con le Alfette dei carabinieri che partono a tutta velocità e sirene spie-gate. Gli arresti si susseguono tra lo sgomento generale, da uno stadio all’altro, da una città all’altra. La notizia, in contemporanea, fa il giro del Paese, lasciando chiunque allibito di fronte ad un epi-logo davvero inimmaginabile.
A Tutto il calcio minuto per minuto gli interventi si accavallano fre-neticamente. “Vi chiedo scusa per il fiatone – dice Ferretti, in col-legamento dall’Olimpico – ma le porte degli spogliatoi sono ancora chiuse. Nessuno può entrare. Sembrerebbe che siano stati eseguiti degli ordini di cattura riguardanti due giocatori del Perugia, Della Martira e Casarsa”. Pochi istanti dopo è la volta di Ciotti, da San Siro: “Sono riuscito ad entrare negli spogliatoi e posso riferire dati di fatto. Il presidente del Milan, Colombo, e i giocatori Albertosi e Morini sono stati, …ecco, non voglio usare altre parole, …diciamo sono stati invitati a seguire alcuni militi della Guardia di Finanza”. Da Pescara arriva la notizia degli arresti dei laziali Wilson, Giordano, Manfredonia e Cacciatori. “Qui ad Avellino – interviene Foglianese – sembra sia stato arrestato il giocatore irpino Pellegrini”. Altri arresti si registrano anche sui campi di B: Magherini (Palermo), Girardi (Genoa), Merlo (Lecce). In più, c’è una lunga lista di ordini di com-parizione a carico di giocatori di Bologna, Lazio, Avellino, Napoli, Perugia, Palermo e Taranto. Tra questi anche nomi di primissimo li-vello, come Savoldi, Dossena, Damiani, Cordova e il centravanti ti-tolare della Nazionale italiana, Paolo Rossi.
In serata i divi del pallone arrivano a Roma, nel carcere di Regina Coeli. Ad attenderli, stampa, telecamere ed una enorme folla di curiosi. Molti tifosi delusi li accolgono al grido “Venduti!”. Alcuni giocatori chiedono e ottengono di non essere ammanettati, altri si coprono il viso, altri piangono. “Prima ancora di essere dichiarati colpevoli da qualunque autorità – ricorda Carlo Petrini nella sua au-tobiografia – eravamo considerati dei traditori della Patria, dei per-sonaggi più schifosi degli assassini”.
Crollano i miti. Crolla la credibilità del sistema. L’intero calcio italia-no è in ginocchio.
*****
Per l’immagine del Paese è un duro colpo, specialmente in vista del Campionato Europeo in programma, a giugno, proprio in Italia. Per la Nazionale sarebbe stata una grande occasione ma ora il clima affossa ogni entusiasmo. Oltretutto il cittì Bearzot deve anche ri-nunciare ad una pedina fondamentale quale Rossi.
Intanto il campionato va avanti, nonostante l’interesse principale sia rivolto agli sviluppi del Calcioscommesse. Due le inchieste in corso: quella della Magistratura penale (i cui tempi sono generalmente mol-to lunghi) e quella della più veloce Magistratura sportiva il cui pro-cesso comincia il 14 giugno, a Milano, nella sede della Commissione disciplinare. Ad una ad una vengono esaminate tutte le partite in-criminate. Sono giorni di interrogatori e confronti diretti con Cru-ciani e Trinca. Le parole dei due grandi accusatori sono supportate da fatti e prove (nomi, date, telefonate, assegni) che in aula pesano come macigni sulla sorte dei giocatori, assistiti da fior di avvocati impegnati in vani e inutili tentativi di difesa. Tra accuse e ritrat-tazioni, smentite e pressioni di ogni sorta, si arriva alle sentenze finali: a giugno quella della Commissione disciplinare e, 40 giorni dopo, quella definitiva e inappellabile della CAF (secondo grado d’ap-pello). Citiamo il verdetto di quest’ultima.
- Milan e Lazio: retrocessione d’ufficio in serie B.
- Avellino, Bologna, Perugia, Palermo e Taranto: penalizzazione di 5 punti, da scontare nei successivi e rispettivi campionati di serie A e serie B.
- Radiazione per il presidente del Milan, Colombo.
- Un anno di inibizione per il presidente del Bologna, Fabbretti.
- Sei anni di squalifica a Pellegrini (Avellino);
- Cinque anni di squalifica a Cacciatori (Lazio) e Della Martira (Perugia);
- Quattro anni di squalifica ad Albertosi (Milan);
- Tre anni e sei mesi di squalifica a Giordano (Lazio), Manfredonia (Lazio), Savoldi (Bologna), Petrini (Bologna) e Magherini (Palermo);
- Tre anni di squalifica a Wilson (Lazio), Zecchini (Perugia) e Massimelli (Taranto);
- Due anni di squalifica a Rossi (Perugia);
- Un anno e due mesi di squalifica a Cordova (Avellino);
- Un anno di squalifica a Morini (Milan) e Merlo (Lecce);
- Sei mesi di squalifica a Chiodi (Milan);
- Cinque mesi di squalifica a Negrisolo (Pescara);
- Quattro mesi di squalifica a Montesi (Lazio);
- Tre mesi di squalifica a Colomba (Bologna) e Damiani (Napoli).
*****
Indubbiamente i calciatori caduti nella rete sono molti, compreso no-mi di spicco, e questo è un dato oggettivo. Tuttavia non è facile da-re alla sentenza un’interpretazione univoca: si può dire tutto e il con-trario di tutto.
La 'storia ufficiale' parla di giudici dalla mano pesante e condanne esemplari, fortemente penalizzanti, che non hanno risparmiato gio-catori di primo piano (anche nazionali) e società prestigiose (Milan e Lazio su tutte).
Eppure non sono in pochi a sostenere la tesi di un processo-farsa che ha colpito solo i più vulnerabili. E il caso Juventus, uscita immacola-ta da tutta questa vicenda, rafforzerebbe la teoria secondo la quale sarebbero stati usati due pesi e due misure.
Sulla piena assoluzione della Juventus (scagionata per insufficienza di prove), la Gazzetta dello Sport scrive: “La gente oggi si chiede come mai i superaccusatori Cruciani e Trinca vengano creduti come l’oracolo per certi episodi e invece disattesi come bugiardoni paten-tati per altri. Si vorrebbe capire perché Cruciani sia credibile quando parla di Paolo Rossi mentre credibile non lo è più quando afferma di aver sentito dire da Petrini che la partita Bologna-Juventus era stata combinata per il pareggio”.
Prendiamo il caso di Paolo Rossi, che subisce una condanna molto pesante (due anni di squalifica). Diventa il simbolo del Calcioscom-messe, il capro espiatorio. Con lui si intende dimostrare di voler usare il pugno duro e non fare sconti a nessuno. Certo, viene colpito il centravanti titolare della Nazionale italiana, ma è anche vero che il centravanti titolare della Nazionale italiana gioca nel Perugia e il Perugia, si sa, non ha molti santi in Paradiso.
Osservazione analoga per la condanna subita dal Milan (retroces-sione d’ufficio). Indubbiamente per il Milan, mai retrocesso sul cam-po, l’onta della serie B è una mazzata non da poco. Ma, altrettanto indubbiamente, si tratta di una società fragile, reduce da anni di dissesti e che, per padroni, non ha più i Rizzoli o i Carraro.
Quanto alle squalifiche che colpiscono duramente grandi nomi ed ex nazionali, occorre aggiungere una considerazione. Eccetto il perugi-no Rossi e i laziali Giordano e Manfredonia, la mano pesante del giudice si abbatte su giocatori già ultratrentenni – Beppe Savoldi (33 anni), Pino Wilson (35), Giorgio Morini (33), Ciccio Cordova (36) – con carriere ormai agli sgoccioli e valore di mercato quasi nullo. Chiude così, a quarant’anni suonati, anche Enrico Albertosi, uno dei più grandi portieri italiani.
In definitiva, la vicenda del Calcioscommesse si conclude come è cominciata: fra luci, ombre, incognite e misteri che il tempo non ha aiutato a risolvere. Ad archiviarla definitivamente ci pensa la Giusti-zia Ordinaria che a fine anno, nel dicembre del 1980, emette il suo verdetto: tutti assolti, “il fatto non sussiste”.
Approfondimento
Il caso: Paolo Rossi
La parabola di Pablito, simbolo del Calcioscommesse 1980
Dalle buste di Vicenza ai tribunali sino alla notte di Madrid
Nella primavera del 1980, quando scoppia lo scandalo del Calcio-scommesse, Paolo Rossi è tra i più popolari calciatori italiani, merito anche dell’ottimo Mondiale disputato due anni prima in Argentina e di un viso pulito che ispira simpatia. Della Nazionale di Enzo Bearzot è ormai titolare inamovibile. In Italia, invece, casi del destino lo ve-dono ancora in provincia. I suoi anni migliori coincidono con il perio-do magico del Lanerossi Vicenza di Giussy Farina, il presidente con-tadino sotto la cui gestione la squadra veneta, nel 1977-78, rag-giunge uno storico secondo posto. Al termine di quella stagione Ros-si sembra destinato alla Juventus, comproprietaria del cartellino, ma Farina riesce a trattenerlo offrendo una cifra da capogiro. “Dimmi cosa vuoi”, gli aveva chiesto Boniperti prima di arrivare alle bu-ste. “Voglio tenerlo”, la sua ferma risposta. Così, Juventus e Vicen-za arrivano inevitabilmente alle buste. Boniperti, per riscattare la metà del cartellino, inserisce un’offerta di L. 1.750.000.000. Fari-na, pur di non perdere il suo pupillo, oltre 5 miliardi di lire (“Ma sei matto?!”, si sente dire dall’esterrefatto collega juventino). Si ritiene che la Juventus abbia dovuto contenersi per via del difficile momen-to della Fiat, con molti operai in cassa integrazione. Invece, il presi-dente vicentino viene subito tacciato di sperperi immorali (gli si fa notare che la cifra offerta è più di quanto il Paul Getty Museum di Malibù abbia speso complessivamente per comprare un Van Gogh, un Renoir, un Cézanne e un Matisse). Giussy Farina, per trattenere Ros-si, aveva osato sfidare la Juventus. Si dice che l’anno dopo il Vicen-za abbia pagato quello sgarro con la retrocessione in serie B. Alme-no, così si dice. Fatto sta che, dopo l’esaltante secondo posto del 1977-78, il Lanerossi Vicenza non si ripete e, addirittura, finisce per retrocedere. Il presidente generoso ha sballato, per troppo entusia-smo, per troppa audacia.
A quel punto è costretto a darlo in prestito. I grandi club optano per un patto di non belligeranza, sicché a spuntarla è l’ambizioso Peru-gia di D’Attoma. Rossi accetta volentieri la nuova destinazione: at-mosfera e dimensioni della città umbra gli ricordano Vicenza, ol-tretutto sa che la provincia non gli preclude le porte della Nazionale. Bearzot, discepolo di Rocco, conosce bene importanza e valore del gruppo: ne ha creato uno solido e, dal Mondiale in Argentina, lo por-ta testardamente avanti. E Rossi ne fa parte. Comincia così la sta-gione 1979-80, quella dell’Europeo.
*****
Se la notizia del Calcioscommesse stupisce i più, quella del coinvol-gimento di Paolo Rossi è stupore nello stupore. Il suo, senza dubbio, è il nome più rilevante tra quelli invischiati. È un contraccolpo per l’intero movimento calcistico italiano, con evidenti conseguenze sul-la Nazionale (privata del suo centravanti titolare), sull’immagine del Paese e sulla stessa reputazione di un giocatore sino a quel momen-to amatissimo.
Lui si dichiara totalmente estraneo ai fatti, raccontando centinaia di volte la stessa versione: “La sera prima di Avellino-Perugia (del 30 dicembre 1979, ndr) la trascorriamo in albergo a Vietri sul Mare. Fuo-ri piove e fa freddo. L’allenatore, Castagner, e il direttore sportivo, Ramaccioni, si sono fermati a casa di un noto industriale caseario del posto, a caccia di mozzarelle. Dopo cena, stiamo giocando la so-lita partita a tombola, tanto per ammazzare il tempo. Ad un certo punto mi si avvicina il mio compagno Mauro Della Martira: «Paolo, puoi venire un attimo? Ci sono due amici che vogliono conoscerti». Non sono capace di dire di no. Controvoglia, affido le mie cartelle a Ceccarini e mi alzo. Nella hall trovo due tipi che non avevo mai visto e stringo loro la mano: «Piacere». Non capisco cosa vogliano da me. Improvvisamente, Della Martira dice: «Questo è un mio amico che gioca alle scommesse». E l’amico dell’amico, in spiccato accento ro-manesco: «Paolo, che fate domenica?». «Beh, cercheremo di vince-re», rispondo genericamente. «E se invece pareggiate?». Non capi-sco dove voglia andare a parare. Sono imbarazzato anche se non lo do a vedere. Non vedo l’ora di liberarmi dall’impiccio e rispondo: «Il pareggio non è un risultato da buttare, l’Avellino ha un punto in me-no di noi…». «Sai, abbiamo un amico, dall’altra parte, che dice che un pareggio andrebbe più che bene». «…Magari, fai anche due gol», aggiunge l’altro. La discussione non mi piace per niente. Voglio tor-nare alla mia tombola. Quelle facce non mi ispirano fiducia. Taglio corto: «Mauro, mi aspettano, fai tu…», giusto per non fargli fare brutta figura. Torno al mio posto e riprendo a giocare. Il tutto è du-rato appena due minuti”. Il giorno dopo Avellino-Perugia termina in pareggio, 2-2, con due reti di Rossi.
*****
Quando scoppia lo scandalo, il Paese si spacca in due: chi è sicuro della sua innocenza e chi lo ritiene colpevole al pari degli altri. Chi ha ragione? Credere o meno alla sua versione è come un personale atto di fede. Giorgio Lago, stimato giornalista veneto nonché rosso-logo ufficiale (a lui si deve l’invenzione del nomignolo Pablito), gli chiede a quattr’occhi: “Paolo, dimmi la verità, sei colpevole o inno-cente?”. La risposta di Rossi diventa la sua risposta: “Credimi, Gior-gio, sono innocente, non c’entro nulla con questa storia”.
Ma la Magistratura sportiva non crede alla “versione della tombola” e gli infligge tre anni di squalifica, poi ridotti a due dalla CAF. Il verdetto è “Squalifica sino al 29.04.1982”.
Due anni. Due lunghissimi anni. Non concludono la carriera, vista l’ancora giovane età, ma indubbiamente la compromettono. Dopo l’Europeo, sembra essere praticamente perso anche il Mondiale di Spagna: se in linea teorica i tempi ne consentono la partecipazione, in pratica, è assai improbabile riguadagnare la Nazionale poche set-timane dopo il rientro. Così come è difficile ipotizzare di poter arri-vare all’appuntamento in una condizione fisica accettabile.
*****
Con l’inizio del nuovo campionato per Rossi comincia anche il lungo periodo di inattività agonistica. Torna al Vicenza (proprietaria del suo cartellino) e si allena con la squadra tristemente sprofondata in serie B: qualche esercizio con gli ex compagni, la classica partitella infrasettimanale con le riserve, ma poi, la domenica, a casa o in tri-buna.
A fine marzo, a margine di una trattativa silenziosa e discreta, Bo-niperti annuncia: “Da oggi la Juve è ancora più forte”. Per una cifra ragionevole, Paolo Rossi diventa un giocatore della Juventus, dove sconterà l’ultimo anno di squalifica.
Ma, a Torino, non cambia granché. Anzi, mentre i suoi compagni si apprestano a vincere il ventesimo scudetto e il romanista Pruzzo il titolo di capocannoniere del campionato, Rossi continua a vivere nel-l’ombra. Per lui, solo allenamenti e partitelle in famiglia. Nessuna gara ufficiale. Non può disputare nemmeno amichevoli, o qualsiasi incontro con arbitri federali.
Un giorno come tanti, Rossi si sta allenando su un campo seconda-rio, con riserve e ragazzi della Primavera. All’improvviso, da lonta-no, una voce familiare: “Muoviti, fannullone, che hai un sedere ton-do come quello di una fattrice normanna!”. È la voce di Enzo Bear-zot: lo sta osservando, quasi di nascosto, appoggiato alla recinzio-ne. Lo aspetta.
*****
A maggio, arrivano le convocazioni per il Mondiale di Spagna: Rossi fa parte dei ventidue. Pruzzo, capocannoniere del campionato non-ché attaccante italiano più in forma, resta a casa. La scelta fa subi-to discutere e cominciano a piovere le prime critiche. Oltretutto, co-me quarta punta, Bearzot convoca Selvaggi, onesto centravanti del Cagliari. Si narra di una telefonata tra i due: “Pur di venire al Mon-diale, porterei anche le valigie”. “Non occorre, basta che lasci a ca-sa le scarpette”. A buon intenditor, poche parole.
Il disegno è chiaro: tutelare Rossi. Il commissario tecnico sa bene che le sue condizioni sono precarie, che ha bisogno di giocare per ri-trovare la forma e che con il fiato di Pruzzo sul collo ciò non sarebbe possibile. In altri termini, crea i presupposti per puntare su di lui ad oltranza. Lo protegge, addossandosi ogni responsabilità.
Le critiche, infatti, non si fanno attendere e diventano sempre più dure, soprattutto dopo il deludente pareggio con la Svizzera, nell’ulti-ma amichevole pre-Mondiale.
*****
La Nazionale arriva in Spagna, ma polemiche e attacchi non accen-nano a diminuire. Anzi, a farli definitivamente esplodere è un’opa-ca prestazione durante un test d’allenamento contro i modesti porto-ghesi dello Sporting Braga. Manca anche l’appoggio dei vertici fede-rali, con Sordillo (FIGC) e Matarrese (Lega) che prendono le distanze da allenatore e squadra, vale a dire dall’Armata Brancazot, come vie-ne poco simpaticamente definita (“Sordillo è un signore – dice Ma-tarrese – perché se fossi sceso io negli spogliatoi li avrei presi tutti a calci nel sedere!”).
A pochi giorni all’esordio, il ritiro di Pontevedra diventa un fortino. Bearzot fa da scudo alle critiche, sempre più pesanti. Alcune rasen-tano anche le offese personali: “Non bisogna essere dei geni per ca-pire che un giocatore fermo da due anni non è proponibile in un Mon-diale”, “Basta guardarlo in faccia (Bearzot), con quei tic da orango, è un incompetente”, si legge più o meno ovunque. Addirittura, si ar-riva a scrivere anche che Rossi e Cabrini hanno una relazione omo-sessuale. La stampa comincia il gioco al massacro.
*****
In questo clima, il 14 giugno, a Vigo, l’Italia scende in campo con la Polonia: zero a zero. Rossi è autore di una prova incolore, per molti giornali al di sotto della sufficienza: “Non sta in piedi, incespica tra le margherite e fa fatica a rialzarsi”.
Il rapporto con la stampa peggiora di giorno in giorno. La frattura totale avverrà di lì a poco.
Per la partita con il Perù, Bearzot conferma la stessa formazione del-l’esordio, Rossi incluso: “Si ostina a schierarlo”, “Mandarlo in cam-po è una bestemmia”, si scrive e si dice. Contro i peruviani, gioca male, è quasi irriconoscibile (“È un cadavere”, “Fa piangere”, “È pe-noso”, i commenti più gettonati). Gianni Brera lo definisce “ectopla-sma di se medesimo”. Dopo quarantacinque minuti, Bearzot non può fare altro che sostituirlo. Ma, negli spogliatoi, tra il primo e il se-condo tempo, ha luogo l’ennesimo e indimenticabile atto di fede. Lo racconta lo stesso Rossi: “Pensavo di essermi giocato la mia ultima possibilità. Nel momento in cui i miei compagni stanno per rientrare in campo, sono mogio sulla panca, con una scarpa sì e una no. Ma, richiudendo la porta dello stanzone, Bearzot mi guarda dritto negli occhi e poi dice: «Prepàrati per la prossima partita»”. Il resto è sto-ria.