venerdì

Galeano e Soriano, calcio e letteratura

Lo stadio del San Lorenzo: dalle gesta di Sanfilippo al supermarket

Di seguito, una lettera scritta da Osvaldo Soriano ad Eduardo Ga-leano e riportata da quest’ultimo nel suo celebre ‘Splendori e mise-rie del gioco del calcio’, libro che unisce magistralmente fùtbol e let-teratura, storia e politica, cultura e costume. È un passo che unisce anche due tra i più stimati scrittori e giornalisti sudamericani del Novecento, accomunati da stessa passione calcistica e medesima insofferenza per le dittature militari che negli anni Settanta go-vernano i loro Paesi. Censurati e fortemente osteggiati dai rispet-tivi regimi, sono entrambi costretti all’esilio in Europa.
Il primo, Soriano, argentino di Mar del Plata, dopo il colpo di Stato del 1976, si rifugia prima in Belgio e poi a Parigi. Collabora anche con il Manifesto. Per la sua morte, avvenuta prematuramente nel 1997, il giornale italiano gli dedica un cd commemorativo con brani (musicati da Peppe Servillo degli Avion Travel) tratti dalla sua rac-colta di racconti ‘Fùtbol, Storie di calcio’. Si dice sia uno degli scrit-tori imprescindibili per capire realtà e cultura argentina.
Il secondo, Galeano, uruguagio di Montevideo, è considerato una del-le personalità più autorevoli dell’intera letteratura latinoamericana. Imprigionato in Uruguay nel 1973, anche lui è costretto al confino: si trasferisce in Argentina (sino all’insediamento della giunta militare di Videla), poi va in Spagna, dove continua a scrivere contro regimi, dittature e Palazzi del mondo. Gli stessi concetti accompagnano la sua visione del calcio moderno, denunciando giochi di potere, affari lucrosi e “patti scellerati con le multinazionali”. Il passo che andia-mo a leggere è da ‘Splendori e miserie del gioco del calcio’, saggio capolavoro in cui combina abilmente giornalismo, documentazione e narrativa sullo sfondo di una attenta analisi storico-politica dei fatti.

*****
Premessa: “Uno dei giganteschi supermercati Carrefour di Buenos Ai-res – scrive Galeano in ‘Splendori e Miserie del gioco del calcio’ – sor-ge sulle rovine dello stadio del San Lorenzo. Quando lo stadio fu de-molito, a metà del 1983, i tifosi si portarono via, piangendo, un pu-gno di terra in tasca”.

Caro Eduardo,
voglio raccontarti che l’altro giorno sono andato al supermercato Carrefour, dove un tempo si trovava il campo del San Lorenzo. Ci sono andato con José Sanfilippo, l’eroe della mia infanzia, capo-cannoniere del San Lorenzo per quattro stagioni di seguito. Stiamo camminando tra i carrelli, attorniati da pentole, formaggi e filze di salsicce. All’improvviso, mentre ci avviciniamo alla cassa, Sanfilippo apre le braccia e mi dice: “Pensa che proprio qui insaccai quel gran tiro di punta a Roma (portiere argentino, ndr) nella partita contro il Boca”. Incrocia una signora grassa che spinge un carrello pieno di scatolette, bistecche e verdure e dice: “È stato il gol più rapido del-la storia”. Concentrato come se stesse aspettando un corner mi rac-conta: “Dissi al numero cinque, che quel giorno debuttava: appena comincia la partita mandami una palla lunga in area. Non preoc-cuparti, non ti farò fare brutte figure. Io ero già vecchio e il ragazzi-no, Capdevilla si chiamava, si spaventò: e se magari non ci riesco?”. E in quel momento Sanfilippo mi indica una pila di barattoli di ma-ionese e grida: “Me la mise qui”. La gente ci guarda, spaventa-ta. “Il pallone arrivò spiovente un po’ dietro ai centrali, scattai ma mi andò a finire un po’ in là, dove adesso c’è il riso, vedi?” e mi se-gnala lo scomparto in basso, e di colpo si mette a correre come un coniglio malgrado il vestito blu e le scarpe lucidate: “La lasciai rim-balzare e… plum!”. Esplode il suo sinistro. Tutti ci voltiamo a guar-dare verso la cassa dove trenta e rotti anni orsono c’era la porta e a tutti sembra che il pallone si infili lassù in alto, proprio dove ora ci sono le pile per la radio e le lamette da barba. Sanfilippo alza le braccia per festeggiare. I clienti e le cassiere si spellano le mani per gli applausi. A momenti mi metto a piangere. El Nene (il Bimbo), Sanfilippo, aveva segnato di nuovo quel gol del 1962. L’aveva fatto solo perché io potessi vederlo.

Osvaldo Soriano