domenica

Scarti di Italia-Germania Ovest 4-3

Il prossimo 17 giugno la Partita del Secolo compie quarant’anni

Fra meno di un mese Italia-Germania Ovest 4-3, la Partita del Seco-lo, compie quarant’anni. In quei giorni saremo in piena sindrome mondiale, probabilmente troppo immersi nel nostro presente per ren-dere omaggio come si conviene alla regina delle partite, quella che dovrebbe intimidire tutte le altre, a cominciare da Grecia-Nigeria in calendario proprio il prossimo 17 giugno. Fossimo a capo della Rai, quel giorno manderemmo in prima serata la versione integrale del-l’incontro, con tanto di collegamento via satellite e telecronaca origi-nale di Nando Martellini. Ma, ahinoi, in Rai non abbiamo alcun pote-re decisionale, per cui ci tocca pensare ad altro. E poi, soprattutto, in quei giorni non vorremmo ridurci ad una distratta riesumazione di quanto già detto, scritto e tramandato in libri, film, documentari, opere teatrali, articoli di giornale e servizi televisivi. I nostri cari au-guri, allora, meglio farli in anticipo, trovando così anche il tempo per aggiungere qualcosa anziché ripetere.
In quarant’anni italiagermaniaquattroatrè è stata sviscerata all’inve-rosimile. Si è detto di tutto e di più, attenendosi però ad un canovac-cio, fondamentalmente blindato, che non ha concesso ulteriori inter-pretazioni. I temi topici sono stati approfonditi, arricchiti di partico-lari, testimonianze, ma non messi in discussione.
In un buon articolo di poche righe leggiamo del coinvolgimento na-zional-popolare, della storica staffetta, dei tachicardici supplemen-tari e dell’apoteosi al gol di Rivera. Approfondendo l’argomento, au-mentano anche i particolari: un quadro generale di Messico 1970, il primo vero e proprio Mondiale di massa, dettagli sulla spedizione azzurra, le scelte amletiche di Valcareggi, il significato latente di Ita-lia-Germania, lo stoicismo di Beckenbauer che gioca con una spalla slogata, le imprecazioni del toscanaccio Albertosi al gol di Müller, le città italiane in festa al fischio finale. Ma non solo. Analisi ancora più dettagliate riportano un’ampia panoramica delle vicende in Mes-sico (dal ruolo di Mandelli nella delegazione azzurra all’arrivo di Roc-co per coccolare il suo Rivera), i tanti perché della staffetta, nozioni fisico-motorie circa l’equilibrio di un calciatore con un braccio fa-sciato al busto, quanti secondi intercorrono da quando Rivera recu-pera il pallone dal fondo della nostra rete e lo va a depositare alle spalle di Sepp Maier, l’esultanza di milioni di italiani ancora svegli e incollati alla TV, i costumi del Paese, i caffè, le sigarette, i ricordi di studenti sessantottini alle prese con esami universitari e di maturi-tà. E poi, ancora, il valore storico-sociale di quell’affermazione, la guerra con i tedeschi, la ricostruzione, la generazione del riscatto. Il 4-3, la resistenza, i minuti che non passavano mai, due tempi sup-plementari lunghi quarant’anni e chissà quanto ancora.
Adesso, sebbene possa apparire un’operazione quasi destabilizzan-te, proveremo a dare un’altra interpretazione ad una serie di cliché letti e riportati sempre e solo secondo un punto di vista italiano.
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Da dove cominciamo? A livello concettuale, dall’idea stessa che gli italiani, non necessariamente over 40, conservano di quella partita. Nella memoria nazionale quell’incontro riesce ad eguagliare anche la mitica vittoria del Mondiale spagnolo (Berlino 2006 è forse ancora troppo recente per un’attendibile collocazione storica). La sua apo-teosi, se considerata in astratto (o meglio, da un pubblico neutrale), potrebbe anche apparire ingiustificata, o persino esagerata. In defi-nitiva, Italia-Germania Ovest è una semifinale vinta di un Mondiale perso. Ma, se leggessimo i dati nudi e crudi, diremmo che anche Italia-Bulgaria di Usa 1994 lo è (una semifinale vinta di un Mondiale perso). E, allora, la differenza qual è? L’emozione per un risultato altalenante, sofferto e sempre in bilico? Anche, ma non solo. Appare evidente che i bulgari (calcisticamente e non) non sono i tedeschi. E battere i tedeschi assume un duplice valore, soprattutto nel 1970.
Ma Italia-Germania Ovest 4-3 può essere considerata anche dai te-deschi la Partita del Secolo? Sì, a giudicare dai ricordi di molti dei protagonisti (Beckenbauer, Schnellinger, Müller), no se pensiamo al popolo tedesco negli stessi termini in cui consideriamo quello ita-liano. Per loro, la partita che emotivamente meglio rappresenta la vittoria per antonomasia e che più si avvicina alla nostra Partita del Secolo, potrebbe essere Germania Ovest-Francia 3-3, poi vinta ai rigori, di España 1982 (anche in questo caso, semifinale vinta di un Mondiale perso). Incontro sentito, difficile, combattuto, emozionan-te. Con i francesi in vantaggio 3-1 ai supplementari, i tedeschi rie-scono a recuperare (grazie anche a Rummenigge che entra in campo mezzo zoppo, e segna) e poi vincere. In quel successo ci sono tutti gli ingredienti per farne una Jahrhundertspiel (Partita del Secolo): impresa sportiva unita a spirito nazionalista, carattere, forza di vo-lontà, eroismo, epica. Forse, se proprio manca qualcosa, quel qual-cosa è la rivalsa storica.
Invece, contempla in pieno questo aspetto (la rivalsa storica) la vittoria dell’Olanda contro la Germania Ovest all’Europeo 1988. Ciò che per noi è italiagermaniaquattroatrè, per loro è olandagermania-dueauno. Due a uno, per giunta, a casa loro e in rimonta, nella semi-finale di un Europeo vinto. L’occupazione, le umiliazioni, l’antipatia per i tedeschi, la rivincita nazionale. Quella sera, al fischio finale, scesero in strada circa 9 milioni di olandesi (più del 60% della popo-lazione), il più grande raduno pubblico dai tempi della Liberazione. Poco dopo uscì un libro di poesie intitolato “Olanda-Germania. Poe-sia calcistica” (“Fin da quando ho memoria, e ancor prima, i tede-schi volevano essere campioni del mondo. …La dolce vendetta, cre-devo, non esiste o non dura che un istante. E poi ci fu quell’incredi-bilmente bella sera di martedì ad Amburgo. …I Caduti si alzarono esultanti dalle loro tombe”).
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Torniamo a noi. L’Italia arriva in Messico da campione d’Europa in carica. L’Italia, dunque, ha vinto l’Europeo 1968. Quanti italiani, ventenni o settantenni, lo sanno e lo ricordano? Quanti italiani, invece, seppur per sentito dire, hanno un vago e confuso ricordo di Italia-Germania Ovest 4-3? La differenza è abissale. Eppure si parla di un Europeo vinto, solo due anni prima, contro una semifinale di un Mondiale perso (partita bella, emozionante, avvincente, ma che non lascia traccia in alcun albo d’oro). La gente ricorda España 1982, ricorda anche altri momenti non necessariamente positivi o vicini ai giorni nostri (la Corea, l’illusione di Italia 1990) ma di quell’Europeo quasi niente, se non niente. Come se fosse scomparso nel nulla, in-ghiottito. Come se il ricordo di quel titolo europeo potesse offuscare la grandezza della Partita del Secolo. Allora, via dalla memoria. E così è: Italia-Germania Ovest 4-3 nell’immaginario collettivo italiano ha sostituito Euro 1968. Inconsapevolmente, abbiamo accantonato un trionfo per celebrare la Vittoria in senso lato.
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Andiamo avanti. Gianni Brera, in questa circostanza più che mai controcorrente, sosteneva che Italia-Germania fosse pari ad uno scempio calcistico e scrive: “I tedeschi sono battuti. Beckenbauer con braccio al collo fa tenerezza ai sentimenti. Ben sette gol sono stati segnati. La gente si è tanto commossa e divertita. Noi abbiamo rischiato l’infarto, non per ischerzo. Il calcio giocato è stato quasi tutto confuso e scadente, se dobbiamo giudicarlo sotto l’aspetto tecnico-tattico. Sotto l’aspetto agonistico, quindi anche sentimenta-le, una vera squisitezza, tanto è vero che i messicani non la fini-scono di laudare (in quanto di calcio poco ne san masticare, pori nan). I tedeschi meritano l’onore delle armi. Noi ne abbiamo com-messe più di Ravetta, famoso scavezzacollo lombardo. Ci è andata bene. Io non posso vedere il calcio al rovescio, sono pagato per fare questo mestiere”.
Chiariamo cosa intendeva dire: è opinione diffusa (non solo tra i difensivisti) che la partita perfetta, o quanto più prossima alla per-fezione, sia quella che termina zero a zero. Ciò perché ogni azione che si conclude con un gol presuppone almeno un errore dell’av-versario. E se consideriamo che quel giorno all’Azteca di reti se ne sono viste addirittura sette, il suo ragionamento non sembra poi così assurdo. In più, aggiungeva che per 90 minuti è stata una par-tita semplicemente normale, quasi noiosa. Più che la prima, ai no-stri fini ci interessa maggiormente quest’ultima considerazione.
Tutti (o quasi) hanno in mente i supplementari. Al termine dei 90 mi-nuti regolamentari, sull’1-1 (Boninsegna al 9° e Schnellinger al 92°), nessuno avrebbe avuto valide motivazioni per definirla la Partita del Secolo. La girandola di emozioni avviene tutta nei supplementari, esattamente in sette minuti (Müller al 94°, Burgnich al 98°, Riva al 104°, ancora Müller al 110°, infine Rivera al 111°). Perciò, possiamo affermare che la Partita del Secolo si concentra in una ventina di minuti o poco più: ogni fotogramma scolpito nella memoria degli italiani (e la stessa immagine eroica di Kaiser Franz Beckenbauer che guida i suoi con una spalla slogata e il braccio legato al corpo) è compresa in quel breve intervallo di tempo. Probabilmente, solo il pareggio tedesco di Schnellinger, realizzato a tempo abbondantemen-te scaduto, rientra a pieno titolo nel climax dell’incontro, e quindi nel mito. Per il resto, di quanto accaduto durante i primi 90 minuti, la gente ricorda poco o nulla. È avvenuta, dunque, una inconsapevole estensione dei supplementari (e dei suoi contenuti extra-calcistici) all’intero incontro. Sicché i Supplementari del Secolo diventano la Partita del Secolo.
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Infine, si dice che siano i vincitori a scrivere la storia. Complice anche una più florida letteratura sportiva italiana, pare così anche per italiagermaniaquattroatrè. Esistono infatti numerose riflessioni unilaterali: certamente interessanti e corrispondenti al vero ma anche concepite in base ad una prospettiva squisitamente nostrana. Per esempio si parla sempre dei 2.266 metri sul livello del mare di Città del Messico ma non si specifica che quell’altitudine avvantag-giava gli italiani (abituati ai 2700 di Toluca) e svantaggiava i te-deschi (che avevano sempre giocato ai 1800 di Leòn). Così come, a parziale giustificazione della sconfitta in finale con il Brasile, si dice sempre che l’Italia abbia pagato lo sforzo dei supplementari con la Germania Ovest, il che è vero, però occorrerebbe anche aggiungere che in semifinale anche i tedeschi avevano nelle gambe i 120 minuti del quarto vinto contro l’Inghilterra.
Concludiamo con un ultimo esempio. In una rilettura quasi filosofica della partita, riguardo alla rete segnata da Burgnich è stato anche scritto che, più del gol in sé, la grandezza/bellezza/virtù di quel gol risiede nell’idea stessa di aver solo pensato di poterlo realizzare. Spieghiamo. In un’epoca in cui i terzini quasi mai superano la metà campo avversaria, in un’epoca in cui il loro compito è tenere a bada con le buone o con le cattive l’attaccante affidato in consegna e non mollarlo mai, in un’epoca in cui a loro non è concesso osare, in un’epoca in cui la classe operaia lavora sporco per chi ha piedi buoni e ciuffi biondi, il 31enne rude difensore Tarcisio Burgnich pensa di poter segnare nella semifinale di un Mondiale. E allora lascia la sua zona di campo e va. Corre verso un sogno impossibile, quasi avver-tendo che quella non sarà mai una partita qualunque. E si trova lì, a tu per tu con l’immenso Sepp Maier. E il suo piattone che finisce nella porta tedesca, anche quello, è italiagermaniaquattroatrè.
Ma la stessa identica cosa potremmo dirla del terzino Karl-Heinz Schnellinger, che quel giorno realizza la sua unica rete in 13 anni di Nazionale. La sua Germania è sotto di un gol, siamo al secondo minuto di recupero e mancano pochissimi secondi alla fine. La forza della disperazione, l’idea di potersi sostituire per un solo istante a Gerd Müller. E dove un qualsiasi altro giorno ci sarebbe stato der Bomber der Nation, quel 17 giugno c’è lui. E allora allunga la gamba più che può mandando la palla in rete e la Germania ai supplementa-ri. E quella partita diventa italiagermaniaquattroatrè, la Partita del Secolo.