Trentuno anni dalla tragica scomparsa del centravanti molisano
Quando la città accarezzò un sogno: mai così vicina alla serie A
Malgrado tutto, quella di Erasmo Iacovone è una bella storia. Così co-me l’affetto che ancora oggi gli riservano i tarantini. Nei prossimi giorni cade il 31esimo anniversario della sua morte e il suo nome sa-rà scandito a gran voce nello stadio a lui intitolato. Da quel 1978 ac-cade ininterrottamente ogni anno, durante la prima partita casalinga del mese di febbraio. È rito che si ripete, rievocazione e celebrazio-ne dell’indissolubile legame tra la città e un ragazzo che a 26 anni, baffi e sorriso malinconico, stava per portarla in serie A.
La storia di Iacovone è tra le più intense e commoventi del nostro calcio. Non è affatto irriverente paragonarla a quella del Grande To-rino: cambiano epoca, dimensione calcistica e realtà geografica ma il coinvolgimento popolare è pressoché identico.
Per Taranto, città stretta tra mare e Italsider, il calcio è anche valvo-la di sfogo, momento di orgoglio campanilistico e distrazione dai pro-blemi quotidiani. Lo è più che mai sul finire degli anni Settanta, quando l’assai difficile situazione socio-economica coincide con il pe-riodo di maggiori soddisfazioni sportive.
*****
Sono i tempi della serie B nel vecchio stadio della Salinella, con le tribune in legno e tubi Innocenti. Gli adulti ricordano ancora il calore della gente che lo gremisce, il rumore assordante di migliaia di piedi che battono insieme su quei tavolacci, l’entusiasmo di una città, l’at-tesa settimanale per partite che, in casa, sembrano già vinte in par-tenza. Perché alla Salinella, quasi fosse un Filadelfia del Sud, i gioca-tori moltiplicano le forze, danno l’anima. Di padre in figlio si traman-dano nostalgici racconti di una squadra, la più amata e seguita di sempre, a cui solo il destino impedisce di andare in A. Quei nomi, sia pur per sentito dire, li conoscono anche i trentenni di oggi. È il Taranto di Nardello, Dradi, Turini, Petrovic, Gori, Cimenti, Giovan-none, Caputi, Panizza (tutta gente che lega ai colori rossoblu gran parte della carriera), del lucano e futuro ‘azzurro di Spagna’ Franco Selvaggi, ma è soprattutto il Taranto di Erasmo Iacovone.
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Molisano di Capracotta, viene acquistato nell’ottobre del 1976 per una cifra vicina ai 400 milioni di lire (inizialmente, per la sola com-proprietà, il presidente Fico ne sborsa quasi 200), somma, per quei tempi, considerevole. È un centravanti classico, dotato di buona tecnica e forza fisica, non altissimo ma molto abile di testa. Va in re-te all’esordio e poi con continuità sino al termine del campionato.
Da subito con la tifoseria si instaura un rapporto speciale. Erasmo si fa apprezzare per le prestazioni in campo (grande temperamento, at-taccamento alla maglia), ma anche per qualità umane e simpatia: professionista serio, onesto, schivo, tranquillo, rinomato pantofola-io. Ha un vezzo, che i più notano: se pensieroso o concentrato, è so-lito portarsi la collanina alla bocca, stringendola tra le labbra. Si è da poco sposato con Paola, che presto rimane incinta. La moglie, anche per via della gravidanza, fa la spola tra Taranto e Carpi, in Emilia, dove vive la sua famiglia. Lui, quando lei non c’è, preferisce restare in casa e sentirla per telefono.
*****
La stagione 77-78 comincia benissimo, con la squadra jonica sta-bilmente nelle prime posizioni. Per la promozione, l’Ascoli è lancia-tissimo ma il Taranto, grazie ad uno Iacovone maturo e trascina-tore, sembra poter contendere alla pari secondo e terzo posto a Ca-tanzaro e Avellino. In città, per la prima volta, si accarezza il sogno della serie A.
Durante il mercato autunnale, tra le società interessate al centra-vanti tarantino, la più pressante è la Fiorentina che, per averlo su-bito, è disposta a versare 700 milioni in contanti (mentre, per giu-gno, si parla con insistenza di Roma e Inter, che per il suo cartellino offrirebbero più di un miliardo), ma il trasferimento in Toscana sal-ta: il presidente Fico proprio non se la sente di lasciarlo partire, al-meno sino al termine del campionato quando la cessione sarà inevi-tabile, necessaria per le casse, e quindi meno dolorosa. E poi, chis-sà, sembra essere proprio l’anno buono.
A fine novembre, per la prima volta nella storia, il Taranto affronta il derby con il Bari con un vantaggio in classifica: vince 1-0, segna Iacovone con una sorta di ‘cucchiaio ante litteram’ e la Salinella può esplodere di gioia. È Natale e la città è felice. Anche Erasmo lo è: sta per nascere una figlia, è capocannoniere della B e ha una carriera davanti.
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Domenica 5 febbraio alla Salinella arriva la Cremonese. Le cronache del tempo raccontano di uno Iacovone quel giorno scatenato: per tut-ta la partita tenta di segnare in ogni modo ma trova il portiere av-versario, Ginulfi, in giornata di grazia. Finisce zero a zero. Erasmo è amareggiato.
In serata, alcuni compagni di squadra si riuniscono a casa di Turini. Lui e pochi altri, invece, accettano l’invito di Oreste Lionello, che si esibisce a La Masseria, un locale sulla Taranto-San Giorgio Jonico. Ha una Alfetta, auto abbastanza robusta, ma quella sera prende l’uti-litaria, una Dyane 6. Al ristorante cerca un telefono per chiamare Pa-ola, che è a Modena per sottoporsi ad alcuni controlli ginecologici. Quando torna al tavolo, viene a sapere che lo spettacolo di cabaret non va più in scena per scarsa affluenza di pubblico. È già passata la mezzanotte e decide di tornarsene a casa.
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Alle 00:40 è tutto finito. In un lampo. La vita di un 26enne, il sogno di una città. L’incrocio è quello che da una strada secondaria porta sulla statale Taranto-San Giorgio. Svoltando a sinistra, la Dyane vie-ne travolta da una potente Alfa appena rubata e guidata a folle ve-locità da un pregiudicato locale, tale Marcello Friuli. Viaggia sui 200 km/h, a fari spenti, perché inseguito a poche centinaia di metri da una volante della polizia. L’impatto è violentissimo, il corpo di Era-smo scaraventato lontano dall’abitacolo. La sua auto un ammasso di lamiere, ‘affrizzolata’, come dicono a Taranto.
In poche ore la notizia fa il giro della città, più veloce di internet e telefonini: “Ha muért Iacovone!”. Già all’alba, davanti all’ospedale SS. Annunziata si radunano centinaia di persone. Arriva Fico, tra i primi. Arrivano anche i compagni di squadra. Il portiere Petrovic è sconvolto e deve essere trattenuto con la forza perché vorrebbe trovare l’assassino (ricoverato per lesioni non gravi) e farsi giustizia da solo. La polizia cerca di calmare la folla, sempre più numerosa. Intanto, di tutta fretta, avvisati da una telefonata che lascia poche speranze, arrivano anche genitori e fratelli di Erasmo, mentre a Pa-ola il medico vieta di partire.
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I funerali hanno luogo martedì 7 febbraio, alle 10, nella chiesa di San Roberto Bellarmino. Di lì, il corteo si trasferisce allo stadio. Si con-tano circa 40 mila presenze, persone di ogni età e ceto. Molti negozi della città lasciano le serrande abbassate. Piove a dirotto. La bara, portata a spalla dai compagni di squadra, è al centro del campo. La Salinella è in lacrime. Quel giorno piangono anche i poliziotti.
Fico, tra i più grandi presidenti della storia tarantina, non si dà pa-ce: “Se ad ottobre lo avessi ceduto alla Fiorentina – ripete singhioz-zando – avrei potuto cambiare il destino”. Poi promette ufficialmen-te: “In questo momento esprimo l’impegno a far intitolare al tuo no-me questo stadio”. Erasmo Iacovone, da idolo, diventa mito.
*****
Chi scrive alcuni anni fa è a Taranto, a cena con amici in un ristoran-te nei pressi di viale Magna Grecia, nel cuore della città. Non appena fuori, ci intratteniamo alcuni minuti, il tempo di una sigaretta. A po-chi metri da noi c’è anche il proprietario del locale, un uomo sulla sessantina. Asciutto, brizzolato, maglia bianca e grembiule da lavo-ro. È appoggiato ad un muretto e fuma anche lui. Sembra assorto nei suoi pensieri, si guarda attorno con fare distratto e, inevitabil-mente, ascolta frammenti dei nostri discorsi. Noi chiacchieriamo del più e del meno. Chissà come e perché, qualcuno dei tarantini con cui siamo nomina lo stadio. Passano pochissimi secondi e quell’uomo è accanto a noi: “L’hanno trovato così – dice portandosi il girocollo d’oro alla bocca –: con la collanina ancora stretta fra le labbra. Era-smo, che giocatore! Quell’anno davvero stavamo andando in serie A”. Getta la cicca e torna nel retrobottega.
Quando la città accarezzò un sogno: mai così vicina alla serie A
Malgrado tutto, quella di Erasmo Iacovone è una bella storia. Così co-me l’affetto che ancora oggi gli riservano i tarantini. Nei prossimi giorni cade il 31esimo anniversario della sua morte e il suo nome sa-rà scandito a gran voce nello stadio a lui intitolato. Da quel 1978 ac-cade ininterrottamente ogni anno, durante la prima partita casalinga del mese di febbraio. È rito che si ripete, rievocazione e celebrazio-ne dell’indissolubile legame tra la città e un ragazzo che a 26 anni, baffi e sorriso malinconico, stava per portarla in serie A.
La storia di Iacovone è tra le più intense e commoventi del nostro calcio. Non è affatto irriverente paragonarla a quella del Grande To-rino: cambiano epoca, dimensione calcistica e realtà geografica ma il coinvolgimento popolare è pressoché identico.
Per Taranto, città stretta tra mare e Italsider, il calcio è anche valvo-la di sfogo, momento di orgoglio campanilistico e distrazione dai pro-blemi quotidiani. Lo è più che mai sul finire degli anni Settanta, quando l’assai difficile situazione socio-economica coincide con il pe-riodo di maggiori soddisfazioni sportive.
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Sono i tempi della serie B nel vecchio stadio della Salinella, con le tribune in legno e tubi Innocenti. Gli adulti ricordano ancora il calore della gente che lo gremisce, il rumore assordante di migliaia di piedi che battono insieme su quei tavolacci, l’entusiasmo di una città, l’at-tesa settimanale per partite che, in casa, sembrano già vinte in par-tenza. Perché alla Salinella, quasi fosse un Filadelfia del Sud, i gioca-tori moltiplicano le forze, danno l’anima. Di padre in figlio si traman-dano nostalgici racconti di una squadra, la più amata e seguita di sempre, a cui solo il destino impedisce di andare in A. Quei nomi, sia pur per sentito dire, li conoscono anche i trentenni di oggi. È il Taranto di Nardello, Dradi, Turini, Petrovic, Gori, Cimenti, Giovan-none, Caputi, Panizza (tutta gente che lega ai colori rossoblu gran parte della carriera), del lucano e futuro ‘azzurro di Spagna’ Franco Selvaggi, ma è soprattutto il Taranto di Erasmo Iacovone.
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Molisano di Capracotta, viene acquistato nell’ottobre del 1976 per una cifra vicina ai 400 milioni di lire (inizialmente, per la sola com-proprietà, il presidente Fico ne sborsa quasi 200), somma, per quei tempi, considerevole. È un centravanti classico, dotato di buona tecnica e forza fisica, non altissimo ma molto abile di testa. Va in re-te all’esordio e poi con continuità sino al termine del campionato.
Da subito con la tifoseria si instaura un rapporto speciale. Erasmo si fa apprezzare per le prestazioni in campo (grande temperamento, at-taccamento alla maglia), ma anche per qualità umane e simpatia: professionista serio, onesto, schivo, tranquillo, rinomato pantofola-io. Ha un vezzo, che i più notano: se pensieroso o concentrato, è so-lito portarsi la collanina alla bocca, stringendola tra le labbra. Si è da poco sposato con Paola, che presto rimane incinta. La moglie, anche per via della gravidanza, fa la spola tra Taranto e Carpi, in Emilia, dove vive la sua famiglia. Lui, quando lei non c’è, preferisce restare in casa e sentirla per telefono.
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La stagione 77-78 comincia benissimo, con la squadra jonica sta-bilmente nelle prime posizioni. Per la promozione, l’Ascoli è lancia-tissimo ma il Taranto, grazie ad uno Iacovone maturo e trascina-tore, sembra poter contendere alla pari secondo e terzo posto a Ca-tanzaro e Avellino. In città, per la prima volta, si accarezza il sogno della serie A.
Durante il mercato autunnale, tra le società interessate al centra-vanti tarantino, la più pressante è la Fiorentina che, per averlo su-bito, è disposta a versare 700 milioni in contanti (mentre, per giu-gno, si parla con insistenza di Roma e Inter, che per il suo cartellino offrirebbero più di un miliardo), ma il trasferimento in Toscana sal-ta: il presidente Fico proprio non se la sente di lasciarlo partire, al-meno sino al termine del campionato quando la cessione sarà inevi-tabile, necessaria per le casse, e quindi meno dolorosa. E poi, chis-sà, sembra essere proprio l’anno buono.
A fine novembre, per la prima volta nella storia, il Taranto affronta il derby con il Bari con un vantaggio in classifica: vince 1-0, segna Iacovone con una sorta di ‘cucchiaio ante litteram’ e la Salinella può esplodere di gioia. È Natale e la città è felice. Anche Erasmo lo è: sta per nascere una figlia, è capocannoniere della B e ha una carriera davanti.
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Domenica 5 febbraio alla Salinella arriva la Cremonese. Le cronache del tempo raccontano di uno Iacovone quel giorno scatenato: per tut-ta la partita tenta di segnare in ogni modo ma trova il portiere av-versario, Ginulfi, in giornata di grazia. Finisce zero a zero. Erasmo è amareggiato.
In serata, alcuni compagni di squadra si riuniscono a casa di Turini. Lui e pochi altri, invece, accettano l’invito di Oreste Lionello, che si esibisce a La Masseria, un locale sulla Taranto-San Giorgio Jonico. Ha una Alfetta, auto abbastanza robusta, ma quella sera prende l’uti-litaria, una Dyane 6. Al ristorante cerca un telefono per chiamare Pa-ola, che è a Modena per sottoporsi ad alcuni controlli ginecologici. Quando torna al tavolo, viene a sapere che lo spettacolo di cabaret non va più in scena per scarsa affluenza di pubblico. È già passata la mezzanotte e decide di tornarsene a casa.
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Alle 00:40 è tutto finito. In un lampo. La vita di un 26enne, il sogno di una città. L’incrocio è quello che da una strada secondaria porta sulla statale Taranto-San Giorgio. Svoltando a sinistra, la Dyane vie-ne travolta da una potente Alfa appena rubata e guidata a folle ve-locità da un pregiudicato locale, tale Marcello Friuli. Viaggia sui 200 km/h, a fari spenti, perché inseguito a poche centinaia di metri da una volante della polizia. L’impatto è violentissimo, il corpo di Era-smo scaraventato lontano dall’abitacolo. La sua auto un ammasso di lamiere, ‘affrizzolata’, come dicono a Taranto.
In poche ore la notizia fa il giro della città, più veloce di internet e telefonini: “Ha muért Iacovone!”. Già all’alba, davanti all’ospedale SS. Annunziata si radunano centinaia di persone. Arriva Fico, tra i primi. Arrivano anche i compagni di squadra. Il portiere Petrovic è sconvolto e deve essere trattenuto con la forza perché vorrebbe trovare l’assassino (ricoverato per lesioni non gravi) e farsi giustizia da solo. La polizia cerca di calmare la folla, sempre più numerosa. Intanto, di tutta fretta, avvisati da una telefonata che lascia poche speranze, arrivano anche genitori e fratelli di Erasmo, mentre a Pa-ola il medico vieta di partire.
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I funerali hanno luogo martedì 7 febbraio, alle 10, nella chiesa di San Roberto Bellarmino. Di lì, il corteo si trasferisce allo stadio. Si con-tano circa 40 mila presenze, persone di ogni età e ceto. Molti negozi della città lasciano le serrande abbassate. Piove a dirotto. La bara, portata a spalla dai compagni di squadra, è al centro del campo. La Salinella è in lacrime. Quel giorno piangono anche i poliziotti.
Fico, tra i più grandi presidenti della storia tarantina, non si dà pa-ce: “Se ad ottobre lo avessi ceduto alla Fiorentina – ripete singhioz-zando – avrei potuto cambiare il destino”. Poi promette ufficialmen-te: “In questo momento esprimo l’impegno a far intitolare al tuo no-me questo stadio”. Erasmo Iacovone, da idolo, diventa mito.
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Chi scrive alcuni anni fa è a Taranto, a cena con amici in un ristoran-te nei pressi di viale Magna Grecia, nel cuore della città. Non appena fuori, ci intratteniamo alcuni minuti, il tempo di una sigaretta. A po-chi metri da noi c’è anche il proprietario del locale, un uomo sulla sessantina. Asciutto, brizzolato, maglia bianca e grembiule da lavo-ro. È appoggiato ad un muretto e fuma anche lui. Sembra assorto nei suoi pensieri, si guarda attorno con fare distratto e, inevitabil-mente, ascolta frammenti dei nostri discorsi. Noi chiacchieriamo del più e del meno. Chissà come e perché, qualcuno dei tarantini con cui siamo nomina lo stadio. Passano pochissimi secondi e quell’uomo è accanto a noi: “L’hanno trovato così – dice portandosi il girocollo d’oro alla bocca –: con la collanina ancora stretta fra le labbra. Era-smo, che giocatore! Quell’anno davvero stavamo andando in serie A”. Getta la cicca e torna nel retrobottega.
La bara di Erasmo Iacovone portata a spalla da alcuni suoi compagni di squadra