L’ex commissario tecnico della DDR ora alla guida della Bielorussia
Spiava i giocatori per la Stasi: ripudiato in patria, voluto a Minsk
Raramente si sente parlare della Nazionale bielorussa. Altrettanto in-solito è leggere di Bernd Stange, ex allenatore della Germania Est, poco conosciuto e ormai alla soglia della pensione. Sono entrambi ar-gomenti che non fanno notizia, perciò il disinteresse collettivo è in un certo qual modo giustificato. D’altronde, non è cosa insolita sco-vare tecnici europei (tedeschi, olandesi, francesi, inglesi), dal passa-to non necessariamente glorioso, sparsi su panchine di mezzo mondo e Paesi più impensabili. Al contrario, il connubio Bielorussia-Stange è assai curioso e meritevole d’attenzione. Capiamone il perché.
*****
Il calcio, nei regimi totalitari di ogni epoca e credo politico, è noto-riamente strumento di controllo delle masse. In contesti simili, in-trecci e ingerenze tra Stato e sport sono pratiche molto diffuse: da Hitler a Mussolini, passando per i vari Tito, Franco, Videla e Ceau-sescu, gli esempi si sprecano.
Fino al 1989, il Muro di Berlino non traccia solo un confine geo-poli-tico: una profonda linea di demarcazione divide in Est e Ovest anche il calcio. A separare i due blocchi, più che aspetti agonistici, sostan-ziali differenze di carattere ideologico, con relative ripercussioni su prospettive di carriera, abitudini sportive e di vita. Da un lato, in Occidente, abbiamo un’industria calcistica già da tempo strutturata secondo i più moderni usi e consumi (professionismo, libero merca-to, ingaggi elevati e concorrenziali); dall’altro, in Unione Sovietica e nei Paesi sotto la sua influenza, si assiste anche nello sport a pro-tezionismo, chiusura delle frontiere, salari parastatali, severo con-trollo ideologico. Il Muro, in breve, divide l’Europa calcistica in ricchi e poveri.
*****
Tanto per cominciare, nei Paesi dell’Est gli sportivi non godono dello status di professionisti. Gli stessi club, di fatto, appartengono ad en-ti statali, di cui i giocatori risultano essere formalmente dipendenti. Così, il Cska è la squadra dell’Esercito, la Dinamo della Polizia, il Lo-komotiv delle Ferrovie, lo Spartak del ‘popolo’ (ma, in pratica, con-trollata dal Partito Comunista), la Torpedo dell’Industria automobi-listica. Ai calciatori, inoltre, non è permesso trasferirsi in club occi-dentali: in Urss il divieto è assoluto, mentre alcuni governi filoso-vietici concedono il nullaosta non prima che un atleta abbia compiuto il ventottesimo anno d’età. Solo con l’avvento di Gorbachev, duran-te la Perestrojka, si assiste ad una leggera e progressiva apertura, ma si dovrà comunque aspettare la fine degli anni Ottanta per ve-dere espatriare i primi giocatori sovietici.
Tra Coppe europee e partite di Nazionale le occasioni di contatto tra i due blocchi sono all’ordine del giorno. Numerosi racconti riferisco-no di squadre occidentali prelevate in aeroporto, fatte salire su pullman con vetri oscurati e accompagnate in albergo, di lì diretta-mente allo stadio, e poi tragitto inverso. Ciò accade principalmente a Mosca, non di rado anche nelle maggiori capitali dell’Est. Vicever-sa, la realtà occidentale è assai più nota, soprattutto per calciatori che viaggiano, comunicano e conoscono differenze e condizioni di vi-ta al di là del Muro. In verità, rispetto al resto della popolazione, la loro è innegabilmente una categoria privilegiata (lo sport ha pur sempre un forte valore propagandistico), eppure non è difficile im-maginare un generale malcontento, oltre che il legittimo desiderio di confrontarsi con i migliori campionati d’Europa e guadagnare quanto colleghi dell’Ovest di pari fama e valore.
*****
Sono anni di rischiose e non sempre riuscite evasioni, soprattutto dalla Germania Est, importante avamposto sovietico. Molti i tenta-tivi di fuga sventati, come quelli di tre giocatori della Dinamo Dre-sda durante una trasferta di Coppa in Olanda: accusati di tradimento vengono imprigionati per un anno e poi squalificati a vita. Ma il caso più eclatante riguarda Eigendorf, giovane centrocampista della Dina-mo Berlino e della Nazionale, che muore in circostanze ancora non del tutto chiare pochi anni dopo l’evasione. Per fuggire approfitta di una partita in Germania Ovest, ma lascia a Berlino Est moglie e fi-glia. La donna per mesi viene pedinata da agenti della Stasi, il fa-migerato servizio segreto della DDR, e poi convinta a divorziare e sposare uno degli stessi agenti. Siamo nel 1983. Eigendorf, intanto, trova ingaggio in Bundesliga, ma è un’intervista rilasciata in televi-sione a segnare la sua condanna a morte: davanti al Muro critica aspramente il sistema calcistico della Germania Est, riferendo par-ticolari e intrighi politici. Due giorni dopo è vittima di un anomalo incidente stradale. Successivamente, la diffusione di molti documen-ti segreti della Stasi non fa che alimentare i sospetti sul caso. Se-condo un giornalista tedesco (autore del documentario ‘Morte del traditore’), più prove reggerebbero la tesi dell’omicidio: agenti del servizio avrebbero iniettato al giocatore un miscuglio di veleno e sonnifero.
Tutto ciò mentre il campionato della DDR, la Oberliga, è vinto quasi sistematicamente dalla Dinamo Berlino (dieci titoli consecutivi dal 1979 al 1988), anche per via di corruzione sportiva, arbitraggi favo-revoli e trasferimenti forzati dei migliori calciatori. La società, in-fatti, è patrocinata dalla Stasi di Erich Mielke, storico capo dell’or-ganizzazione segreta nonché primo tifoso del club berlinese.
*****
Bernd Stange, classe 1948, nasce e cresce nella Germania Est di quegli anni. Abbandona presto la carriera da giocatore per quella da allenatore e, giovanissimo, coglie i primi successi alla guida del Carl Zeiss Jena. Entra, quindi, nei quadri federali: dapprima gli viene af-fidata l’Under 21, poi la Nazionale maggiore (1983-88).
Spiava i giocatori per la Stasi: ripudiato in patria, voluto a Minsk
Raramente si sente parlare della Nazionale bielorussa. Altrettanto in-solito è leggere di Bernd Stange, ex allenatore della Germania Est, poco conosciuto e ormai alla soglia della pensione. Sono entrambi ar-gomenti che non fanno notizia, perciò il disinteresse collettivo è in un certo qual modo giustificato. D’altronde, non è cosa insolita sco-vare tecnici europei (tedeschi, olandesi, francesi, inglesi), dal passa-to non necessariamente glorioso, sparsi su panchine di mezzo mondo e Paesi più impensabili. Al contrario, il connubio Bielorussia-Stange è assai curioso e meritevole d’attenzione. Capiamone il perché.
*****
Il calcio, nei regimi totalitari di ogni epoca e credo politico, è noto-riamente strumento di controllo delle masse. In contesti simili, in-trecci e ingerenze tra Stato e sport sono pratiche molto diffuse: da Hitler a Mussolini, passando per i vari Tito, Franco, Videla e Ceau-sescu, gli esempi si sprecano.
Fino al 1989, il Muro di Berlino non traccia solo un confine geo-poli-tico: una profonda linea di demarcazione divide in Est e Ovest anche il calcio. A separare i due blocchi, più che aspetti agonistici, sostan-ziali differenze di carattere ideologico, con relative ripercussioni su prospettive di carriera, abitudini sportive e di vita. Da un lato, in Occidente, abbiamo un’industria calcistica già da tempo strutturata secondo i più moderni usi e consumi (professionismo, libero merca-to, ingaggi elevati e concorrenziali); dall’altro, in Unione Sovietica e nei Paesi sotto la sua influenza, si assiste anche nello sport a pro-tezionismo, chiusura delle frontiere, salari parastatali, severo con-trollo ideologico. Il Muro, in breve, divide l’Europa calcistica in ricchi e poveri.
*****
Tanto per cominciare, nei Paesi dell’Est gli sportivi non godono dello status di professionisti. Gli stessi club, di fatto, appartengono ad en-ti statali, di cui i giocatori risultano essere formalmente dipendenti. Così, il Cska è la squadra dell’Esercito, la Dinamo della Polizia, il Lo-komotiv delle Ferrovie, lo Spartak del ‘popolo’ (ma, in pratica, con-trollata dal Partito Comunista), la Torpedo dell’Industria automobi-listica. Ai calciatori, inoltre, non è permesso trasferirsi in club occi-dentali: in Urss il divieto è assoluto, mentre alcuni governi filoso-vietici concedono il nullaosta non prima che un atleta abbia compiuto il ventottesimo anno d’età. Solo con l’avvento di Gorbachev, duran-te la Perestrojka, si assiste ad una leggera e progressiva apertura, ma si dovrà comunque aspettare la fine degli anni Ottanta per ve-dere espatriare i primi giocatori sovietici.
Tra Coppe europee e partite di Nazionale le occasioni di contatto tra i due blocchi sono all’ordine del giorno. Numerosi racconti riferisco-no di squadre occidentali prelevate in aeroporto, fatte salire su pullman con vetri oscurati e accompagnate in albergo, di lì diretta-mente allo stadio, e poi tragitto inverso. Ciò accade principalmente a Mosca, non di rado anche nelle maggiori capitali dell’Est. Vicever-sa, la realtà occidentale è assai più nota, soprattutto per calciatori che viaggiano, comunicano e conoscono differenze e condizioni di vi-ta al di là del Muro. In verità, rispetto al resto della popolazione, la loro è innegabilmente una categoria privilegiata (lo sport ha pur sempre un forte valore propagandistico), eppure non è difficile im-maginare un generale malcontento, oltre che il legittimo desiderio di confrontarsi con i migliori campionati d’Europa e guadagnare quanto colleghi dell’Ovest di pari fama e valore.
*****
Sono anni di rischiose e non sempre riuscite evasioni, soprattutto dalla Germania Est, importante avamposto sovietico. Molti i tenta-tivi di fuga sventati, come quelli di tre giocatori della Dinamo Dre-sda durante una trasferta di Coppa in Olanda: accusati di tradimento vengono imprigionati per un anno e poi squalificati a vita. Ma il caso più eclatante riguarda Eigendorf, giovane centrocampista della Dina-mo Berlino e della Nazionale, che muore in circostanze ancora non del tutto chiare pochi anni dopo l’evasione. Per fuggire approfitta di una partita in Germania Ovest, ma lascia a Berlino Est moglie e fi-glia. La donna per mesi viene pedinata da agenti della Stasi, il fa-migerato servizio segreto della DDR, e poi convinta a divorziare e sposare uno degli stessi agenti. Siamo nel 1983. Eigendorf, intanto, trova ingaggio in Bundesliga, ma è un’intervista rilasciata in televi-sione a segnare la sua condanna a morte: davanti al Muro critica aspramente il sistema calcistico della Germania Est, riferendo par-ticolari e intrighi politici. Due giorni dopo è vittima di un anomalo incidente stradale. Successivamente, la diffusione di molti documen-ti segreti della Stasi non fa che alimentare i sospetti sul caso. Se-condo un giornalista tedesco (autore del documentario ‘Morte del traditore’), più prove reggerebbero la tesi dell’omicidio: agenti del servizio avrebbero iniettato al giocatore un miscuglio di veleno e sonnifero.
Tutto ciò mentre il campionato della DDR, la Oberliga, è vinto quasi sistematicamente dalla Dinamo Berlino (dieci titoli consecutivi dal 1979 al 1988), anche per via di corruzione sportiva, arbitraggi favo-revoli e trasferimenti forzati dei migliori calciatori. La società, in-fatti, è patrocinata dalla Stasi di Erich Mielke, storico capo dell’or-ganizzazione segreta nonché primo tifoso del club berlinese.
*****
Bernd Stange, classe 1948, nasce e cresce nella Germania Est di quegli anni. Abbandona presto la carriera da giocatore per quella da allenatore e, giovanissimo, coglie i primi successi alla guida del Carl Zeiss Jena. Entra, quindi, nei quadri federali: dapprima gli viene af-fidata l’Under 21, poi la Nazionale maggiore (1983-88).
La Germania Est del tempo attinge principalmente da Dinamo Ber-lino, Dinamo Dresda e Lokomotive Lipsia. Non è più la DDR del de-cennio precedente (quella dei Croy, Bransch, Weise, Pommerenke, Sparwasser, Vogel, Ducke, Hoffmann, Kreische), ma può ancora con-tare su una buona squadra: gli anziani Streich e Dörner, discreti ele-menti quali Döschner, Kreer, Pilz, Minge, Liebers, Ernst, e i promet-tenti Sammer, Doll e Kirsten. Sfiora la qualificazione a Mexico 1986, mentre ad Euro 1988 e Italia 1990 finisce nello stesso girone elimi-natorio dell’Urss e passano i sovietici che, comunque, sono più forti.
Nel frattempo la Stasi, che si circonda di informatori fidati per mo-nitorare il comportamento dei cittadini, recluta anche Stange: con il nome segreto di Kurt Wegner, ne diventa l’infiltrato sportivo. In teo-ria, si può scegliere se accettare o meno l’incarico, in pratica rifiu-tarlo è altamente sconsigliato. Il suo compito è riferire umori dello spogliatoio ed eventuali critiche al regime comunista, fornire infor-mazioni sulle preferenze politiche di giocatori e colleghi allenatori, carpire segnali di insoddisfazione e possibili progetti di fuga.
*****
Con il crollo del Muro, cambia tutto: contesto, situazioni, equilibri. E molti fatti vengono alla luce. Mentre i principali (e non) calciatori dell’Est si riversano nei campionati occidentali in cerca di marchi, sterline, pesetas e lire, Bernd Stange diventa immediatamente per-sona sgradita, impopolare. Il marchio di spia è indelebile e la Germa-nia riunita lo ripudia. Perde il posto anche nell’orientalissima Lipsia, un tempo importante roccaforte del regime: anche lì le cose cambia-no in fretta e lo stesso club, intanto, da Lokomotive ha trasformato il nome in un meno evocativo VFB.
Ha quasi cinquant’anni, un passato pesantissimo e un futuro incer-to. Comincia così un lungo girovagare. Va ad allenare a Dneprope-trovsk e Kiev, nel neonato campionato ucraino, per tre anni è in Australia, poi addirtitura in Oman. Nel 2002 diventa commissario tecnico della Nazionale irachena: è una panchina ben retribuita e non può permettersi di rifiutarla. In Iraq lavora bene con pochi mezzi e scarse risorse. Ma ne vede anche di cotte e di crude, a cominciare dall’uccisione del suo autista personale. La guerra è alle porte e la-scia l’incarico poco prima dell’invasione statunitense. Successiva-mente lo troviamo a Cipro, all’Apollon Limassol, con cui si toglie an-che la soddisfazione di vincere un campionato nazionale.
*****
Dal luglio 2007, Bernd Stange è alla guida della Nazionale bielorussa, si dice voluto direttamente dall’autoritario presidente Aleksandr Lu-kashenko, noto come ‘l’ultimo dittatore comunista d’Europa’. Lui, che conosce il russo e particolari situazioni, accetta subito e volen-tieri. A Minsk si trova benissimo e non perde occasione per ribadir-lo, oltretutto con una squadra modesta sta ottenendo buoni risultati.
Chiamata, situazione politica, simpatie reciproche: difficile ritenerle pure e semplici coincidenze. In ogni caso, lassù in Bielorussia, il vec-chio Bernd sembra vivere una nuova giovinezza e lavorare in tran-quillità.
Su di lui, indubbiamente, pesa un passato scomodo. Colpe e respon-sabilità non possono essere sminuite ma è opportuno anche conte-stualizzarle. E quindi, se è vero che la Stasi si circondava di persone fidate, e le vicende ci portano a dire che Stange fosse una di quelle (d’altronde, destò scalpore quando il Governo della DDR, impedì al suo predecessore, Buschner, di prendere parte ai sorteggi in Germa-nia Ovest per il Mondiale 1974, temendone una fuga), è anche vero che occorre porsi alcune domande. Avrebbe potuto rifiutare l’incari-co di informatore? A quale prezzo? Può essere davvero definito com-plice di determinati meccanismi (costrizioni, oppressioni, insicurez-ze croniche dei cittadini) in atto nella Germania Est oppure, in una certa qual misura, ne è anche vittima? Se avesse potuto scegliere, non avrebbe preferito sedersi su panchine occidentali più tranquille e remunerate disinteressandosi di politica? E poi, sappiamo esattamen-te cosa riferiva ai servizi segreti?
Stange oggi è un uomo di sessantuno anni. Sotto i piedi, prima an-cora che il Muro, si è visto crollare il suo calcio e ne ha pagato le con-seguenze incassando ostilità, disprezzo e offese. Capiamolo se, in un mondo che lo ripudia, va a cercarsi dove può un angolo di familia-rità.
Nel frattempo la Stasi, che si circonda di informatori fidati per mo-nitorare il comportamento dei cittadini, recluta anche Stange: con il nome segreto di Kurt Wegner, ne diventa l’infiltrato sportivo. In teo-ria, si può scegliere se accettare o meno l’incarico, in pratica rifiu-tarlo è altamente sconsigliato. Il suo compito è riferire umori dello spogliatoio ed eventuali critiche al regime comunista, fornire infor-mazioni sulle preferenze politiche di giocatori e colleghi allenatori, carpire segnali di insoddisfazione e possibili progetti di fuga.
*****
Con il crollo del Muro, cambia tutto: contesto, situazioni, equilibri. E molti fatti vengono alla luce. Mentre i principali (e non) calciatori dell’Est si riversano nei campionati occidentali in cerca di marchi, sterline, pesetas e lire, Bernd Stange diventa immediatamente per-sona sgradita, impopolare. Il marchio di spia è indelebile e la Germa-nia riunita lo ripudia. Perde il posto anche nell’orientalissima Lipsia, un tempo importante roccaforte del regime: anche lì le cose cambia-no in fretta e lo stesso club, intanto, da Lokomotive ha trasformato il nome in un meno evocativo VFB.
Ha quasi cinquant’anni, un passato pesantissimo e un futuro incer-to. Comincia così un lungo girovagare. Va ad allenare a Dneprope-trovsk e Kiev, nel neonato campionato ucraino, per tre anni è in Australia, poi addirtitura in Oman. Nel 2002 diventa commissario tecnico della Nazionale irachena: è una panchina ben retribuita e non può permettersi di rifiutarla. In Iraq lavora bene con pochi mezzi e scarse risorse. Ma ne vede anche di cotte e di crude, a cominciare dall’uccisione del suo autista personale. La guerra è alle porte e la-scia l’incarico poco prima dell’invasione statunitense. Successiva-mente lo troviamo a Cipro, all’Apollon Limassol, con cui si toglie an-che la soddisfazione di vincere un campionato nazionale.
*****
Dal luglio 2007, Bernd Stange è alla guida della Nazionale bielorussa, si dice voluto direttamente dall’autoritario presidente Aleksandr Lu-kashenko, noto come ‘l’ultimo dittatore comunista d’Europa’. Lui, che conosce il russo e particolari situazioni, accetta subito e volen-tieri. A Minsk si trova benissimo e non perde occasione per ribadir-lo, oltretutto con una squadra modesta sta ottenendo buoni risultati.
Chiamata, situazione politica, simpatie reciproche: difficile ritenerle pure e semplici coincidenze. In ogni caso, lassù in Bielorussia, il vec-chio Bernd sembra vivere una nuova giovinezza e lavorare in tran-quillità.
Su di lui, indubbiamente, pesa un passato scomodo. Colpe e respon-sabilità non possono essere sminuite ma è opportuno anche conte-stualizzarle. E quindi, se è vero che la Stasi si circondava di persone fidate, e le vicende ci portano a dire che Stange fosse una di quelle (d’altronde, destò scalpore quando il Governo della DDR, impedì al suo predecessore, Buschner, di prendere parte ai sorteggi in Germa-nia Ovest per il Mondiale 1974, temendone una fuga), è anche vero che occorre porsi alcune domande. Avrebbe potuto rifiutare l’incari-co di informatore? A quale prezzo? Può essere davvero definito com-plice di determinati meccanismi (costrizioni, oppressioni, insicurez-ze croniche dei cittadini) in atto nella Germania Est oppure, in una certa qual misura, ne è anche vittima? Se avesse potuto scegliere, non avrebbe preferito sedersi su panchine occidentali più tranquille e remunerate disinteressandosi di politica? E poi, sappiamo esattamen-te cosa riferiva ai servizi segreti?
Stange oggi è un uomo di sessantuno anni. Sotto i piedi, prima an-cora che il Muro, si è visto crollare il suo calcio e ne ha pagato le con-seguenze incassando ostilità, disprezzo e offese. Capiamolo se, in un mondo che lo ripudia, va a cercarsi dove può un angolo di familia-rità.

Lo storico gol di Sparwasser (DDR) contro la Germania Ovest al Mondiale 1974