giovedì

Nuovi cicli: Paris Saint-Germain

Presto il club francese tra le grandi d’Europa?

Si dice che i pronostici siano fatti per prendere sonore cantonate. Consci di ciò, e del nostro irrefrenabile impulso profetico, ne azzar-diamo uno: il presentimento, infatti, ci porta a prevedere il Paris Saint-Germain presto tra le grandi d’Europa. Certo, è più facile ipo-tizzare il futuro roseo di un club di una capitale come Parigi piut-tosto che quello di un Roccacannuccia qualsiasi, eppure va precisato che stiamo parlando di una società, quella parigina, perennemente ai margini del grande calcio, sia esso nazionale o internazionale.
Nella sua storia ha vinto solo due campionati francesi (1986 e 1994), contro i dieci del Saint-Étienne, gli otto di Olympique Marsiglia e Nantes, i sette di Lione e Monaco, i cinque del Bordeaux, e così via. Sono dati che rivelano una tendenza contraria al resto d’Europa, do-ve le società più prestigiose, titolate e competitive risiedono quasi sempre nelle capitali. Strano constatare che questa eccezione ha luogo proprio in Francia, nazione notoriamente Parigi-centrica. "La Francia è Parigi", si è soliti dire. Invece, la geografia calcistica dice tutt’altro: Saint-Étienne è la città che può fregiarsi di più titoli, Nantes quella con più presenze in Prima Divisione, Marsiglia l’unica francese ad aver vinto una Coppa dei Campioni, Lione da sette anni domina il campionato. In definitiva, il calcio transalpino non è af-fatto Parigi-centrico, né trova nella capitale un punto di riferimento, sia pure storico.
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Ma il PSG nasce solo nel 1970, con la fusione di due società più antiche anche se non propriamente gloriose. Riesce ad assestarsi stabilmente in Prima Divisione solo a metà anni Settanta, periodo in cui il monopolio del calcio francese lo detiene il Saint-Étienne, e il club parigino non è nelle condizioni di poterlo contrastare.
Nel 1978 la società passa nelle mani di Borelli e si fa più ambiziosa. Vengono comprati giocatori di spessore (Baratelli, Bats, Janvion, Bibard, Jeannol, Bathenay, Fernandez, Couriol, Rocheteau), alcuni dei quali prelevandoli proprio dal Saint-Étienne, e buoni stranieri (Ardiles, Surjak, Susic): arrivano due coppe nazionali e, soprattutto, il primo sospirato titolo di Francia. Tuttavia, alla lunga perde il confronto con il Bordeaux, che di campionati ne vince ben tre e, in quel momento, rappresenta la migliore espressione del calcio francese.
Terminato il ciclo del Bordeaux, comincia quello dell’Olympique Marsiglia, la cui sorte, nel bene e nel male, è legata al suo presi-dente, il popolare e ricchissimo imprenditore (poi anche politico e at-tore), Bernard Tapie. Mentre la Nazionale vive una paurosa fase di declino (fuori da Italia 1990 e Usa 1994), la società marsigliese per parco giocatori, ambizioni e risultati, è considerata il fiore all’oc-chiello dell’intero movimento calcistico transalpino. Oltre a vincere per cinque volte consecutive il campionato, è il primo club francese a spadroneggiare anche in Europa. Poi, in contemporanea, arrivano stupidi ed evitabilissimi guai giudiziari, sia per l’OM (retrocessione d’ufficio per corruzione) che per il suo presidente (quattro anni di squalifica).
Intanto, nel 1991, per contrastare lo strapotere marsigliese, ai vertici del Paris St. Germain si insedia Canal +. La nuova proprietà investe molto. Poiché i migliori nazionali giocano all’estero, punta soprattutto su stranieri di qualità: ne arrivano di ottimi (dai brasiliani Ricardo, Valdo, Raì e Leonardo agli africani Weah e Okocha), e con essi il secondo titolo di Francia, tre coppe nazionali e una Coppa delle Coppe (1996). Il club, dopo anni di insuccessi, in un certo qual modo si rilancia, ma i risultati sono comunque inferiori alle attese. Non si raggiunge l’obiettivo principale: avviare un ciclo e, almeno in campo nazionale, sbaragliare la concorrenza. Per un titolo vinto, troppi altri continuano a finirne altrove (Nantes, Mo-naco, Auxerre, Bordeaux, Lens), ossia nel grande calderone del-la ‘provincia’ che riesce regolarmente a tenere testa alla capitale.
La decadenza si fa sentire negli anni Duemila: una serie di stagioni deludenti, in cui il PSG non va quasi mai oltre posizioni di metà classifica, e i non pochi debiti contratti, inducono Canal + a mettere in vendita il club. Ma anche Cayzac, il nuovo presidente in carica dal 2006, non riesce a far meglio. Anzi, il baratro lo si sfiora proprio nell’ultimo biennio, quando, per due anni consecutivi, la squadra ri-schia addirittura la retrocessione. Il tutto mentre, dal 2002, il Lione vince il campionato francese a mani basse.
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Piuttosto, mai come in quest’ultimo decennio, Parigi sembra ri-flettersi nei successi di una Nazionale fortissima (la ‘Grande Fran-ce’ campione del Mondo e d’Europa), come se la gloria della patria fosse un patrimonio esclusivo della capitale e i protagonisti tutti suoi figli. Si costruisce anche uno stadio per ospitare come meglio si conviene il trionfo e gli eroi quando torneranno a casa. Ed effet-tivamente, per i vari Barthez, Blanc, Thuram, Desailly, Zidane, De-schamps, Vieira, Petit, Djorkaeff, Henry, Trézéguet (tutti accasati in squadre italiane, inglesi, spagnole e tedesche), lo Stade de France diventa davvero la loro maison. Per gli avversari, invece, è come entrare nel cuore della Francia, e lo stesso momento dell’Inno ne è la dimostrazione tangibile. Oltretutto, proprio il coinvolgimento intor-no alla Nazionale, insieme alle sempre intense immagini della Mar-sigliese intonata con viva partecipazione a centrocampo e sugli spalti, testimonia una nazione che sa essere multietnica e unita.
Ma la realtà calcistica, naturalmente, va vissuta 365 giorni all’anno e l’ubriacatura nazionale non può coprirli tutti. Quando la capitale si sveglia ritrova il solito Paris St. Germain in affanno anche con le più innocue provinciali, oltre a quotidiane ed autolesioniste lotte in-testine. Raramente, infatti, si assiste ad una tifoseria spaccata come lo è quella del PSG: bianchi da una parte, neri dall’altra. Due fazioni distinte, agli antipodi, che in più occasioni se ne sono pure date di santa ragione. In comune hanno solo il tifo per la stessa squadra. E così, al Parco dei Principi, uno degli stadi più belli del mondo, troviamo la curva ‘Boulogne’ occupata dai sostenitori bian-chi (già simpatizzanti per l’estrema destra xenofoba di Le Pen e supportati dalle frange più nazionalistiche) e quella diametralmente opposta, la ‘Auteuil’ (un tempo riservata ai tifosi ospiti), tenden-zialmente di sinistra e popolata per lo più da abitanti delle banlieue di origine afro-magrebina. Gli scontri sono all’ordine del giorno, con tafferugli, aggressioni, feriti e arresti, sia in casa che in trasferta.
Sia chiaro, non è nostra intenzione formulare frasi tipo “I have a dream”, ma ci viene naturale chiederci se i tifosi parigini sarebbero ugualmente così distanti e spaccati con un PSG forte e vincente.
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Al termine della scorsa deludente stagione, il nuovo presidente, Vil-leneuve, dichiara che la rinascita del club parigino passa attra-verso “un perfetto matrimonio tra esperienza e gioventù”. Tra-dotto: richiamare a corte un pezzo da novanta. Il primo nome della lista è il 36enne Lilian Thuram che, dopo Euro 2008 e 142 presenze in Nazionale, accetta volentieri di chiudere la carriera nella capitale. Ma, durante le visite mediche, gli viene riscontrata una malfor-mazione cardiaca ed è costretto ad abbandonare prima del previsto il calcio giocato. Peccato: sarebbe stato l’intoccabile monumento intorno al quale gettare le basi per il futuro, e tra i pochissimi in grado di mettere d’accordo persino la tifoseria. Arrivano, però, altri due ex nazionali, il 35enne Makélélé e il 32enne Giuly, i quali, insie-me ad elementi affidabili quali Landreau, Rothen e Kezman (più giovani interessanti come Sakho, Sessègnon e Hoarau) formano una discreta squadra.
Quest’anno, infatti, il PSG sembra essersi assestato su dignitose posizioni di medio-alta classifica. A onor del vero, nel campionato francese non è necessario disporre di formazioni galattiche per raggiungere simili risultati, tuttavia, dopo anni di magra, è già qualcosa. Il primo posto, invece, continua ad essere saldamente occupato dal Lione che, mentre si appresta a vincere l’ottavo titolo consecutivo, punta più o meno esplicitamente alla Champions Lea-gue. Dubitiamo possa farcela: la rosa è competitiva ma, almeno sulla carta, non raggiunge il potenziale di Manchester United, Chelsea, Bayern Monaco, Milan, Inter, Real Madrid e Barcellona.
Piuttosto, a stretto giro, prevediamo l’inizio di un ciclo per il Paris St. Germain, almeno in campo nazionale. Ad avvalorare questo no-stro presentimento anche un semplicissimo calcolo delle probabilità: negli ultimi decenni Parigi ha assistito passivamente ai cicli di Saint-Étienne, Bordeaux, Olympique Marsiglia e Lione, per quanto ancora la capitale potrà essere tagliata fuori dal calcio francese?
Oltretutto, ‘Undici’ avanza una teoria: nel calcio gli ‘stati di grazia’ (intesi come cicli, per club, e generazioni di talenti, per Nazionali) non sono soggetti ad aumento o diminuzione bensì, di epoca in epo-ca, ad una differente distribuzione sul territorio.