giovedì

L'editoriale di Undici

La notizia fresca non ci interessa. Ovviamente, un blog non sarebbe neanche in grado di fornirla ma, a prescindere da tempi e scadenze, è il concetto di informazione usa e getta che proprio non ci attrae. Oltretutto, oggigiorno la notizia fresca ha vita breve e cessa di esse-re tale quasi istantaneamente: sono sufficienti televideo, internet e sms in tempo reale per annientarla. I quotidiani sopravvivono perché conservano il fascino secolare della carta stampata e caratteristiche difficilmente surrogabili. Nell’immaginario collettivo rappresentano ancora tradizione, abitudine, connubio caffè-sigaretta, richiamo di albe metropolitane. Ad un blog questo romanticismo di fondo manca e, pur remando contro i nostri stessi interessi (se ce ne fossero), ci auguriamo non lo acquisisca mai. Rispetto ad un quotidiano, un sito internet dovrebbe necessariamente avvalersi dell’unica arma di cui può disporre: la velocità. Ecco, se la nostra arma è questa, noi la deponiamo, ce la scrolliamo volentieri di dosso. Preferiamo andare a rilento prendendo le distanze da frenesie e affanni di un presente in continuo divenire che si riproduce auto-divorandosi.
Undici propone letture di approfondimento, riflessione, commento, memoria. Non di rado, recupero del passato, operazione indispensa-bile per dare profondità e diversa percezione anche a fatti e vicende attuali. È un blog passatempo i cui articoli (post), così come vengo-no scritti, aperiodicamente, possono essere letti: non recano date di scadenza oltre le quali il contenuto, come latte del giorno dopo anda-to a male, puzza di vecchio. Semmai, la cronaca (con casi, episodi, date, circostanze) diventa un mezzo, offrendo continuamente spun-ti. Sta a noi selezionarli, scartando ciò che meno ci piace. E se il presente proprio non ci soddisfa, vorrà dire che ci volteremo indie-tro (ricordate il celebre servizio di Beppe Viola su un deludente derby milanese?), costretti a farlo “più per il rifiuto del presente – come dice Gianni Mura – che per venerazione del passato”. Per la scelta degli argomenti, avremo sempre un occhio rivolto a patinati scenari internazionali e due realtà di provincia più sanguigne. Anzi, tante volte sono proprio queste ultime a conservare gli aspetti più intensi, viscerali e nazional-popolari del nostro calcio. Quello che preferiamo.
Uomini e storie, partite e campionati, non possono assolutamente prescindere dal contesto storico, sociale e geografico a cui apparten-gono e da cui sono generati. Ne sono conseguenza diretta. Il calcio, dal dopoguerra in poi, altro non è se non il più importante fenomeno di costume che l’Italia conosca, l’unico in grado di offrire un senso di appartenenza comune, accostando anche fasce di età e classi so-ciali più dissimili. “Il calcio – scriveva Pasolini – è l’ultima rappre-sentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se eva-sione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci”.