Chiuso il mercato: milanesi avanti, Roma e Juventus timide outsiders
***Prepariamoci ad un campionato milanocentrico. Anzi, almeno per i prossimi anni, abituiamoci a dar per scontato il milanocentrismo del-la nostra Serie A. Le milanesi, a prescindere dalle rose di cui dispon-gono, hanno società più forti, peso politico e un maggiore potere di acquisto. Le altre arrancano dimenandosi come possono. Più o meno quanto accade in Spagna, con Real Madrid e Barcellona a lasciar bri-ciole. Ma per quanto concerne la Liga il distacco neutrale (alias me-nefreghismo) di noi italioti ci consente di valutare le cose per quel che sono, ciò che invece non sempre accade quando occorre mettere in discussione i propri amati campanili.
Per milioni di juventini è più facile rassegnarsi all’idea di un altro an-no senza tituli (per dirla alla Mourinho) piuttosto che accettare l’as-soluto ridimensionamento del club, e il risultato della domenica ne è solo una conseguenza. La Juventus di oggi (vale a dire questa società in una Torino senza la Fiat e gli Agnelli di una volta) di anno in anno si consolida timida outsider. Come la Roma, che può anche dar del fi-lo da torcere ad una milanese ma sempre outsider resta. E non è det-to che Juventus e Roma non vinceranno più, mai o niente. Capiterà il loro turno, magari una o due volte a decennio, spezzando la routine di un campionato milanocentrico.
*****
Ora, chiuso il mercato, giudichiamo il campionato al via.
INTER - Il ciclo è bell’e finito. Ad avvalorarne la tesi non tanto un am-biente inevitabilmente sazio e la sconfitta in Supercoppa con l’Atle-tico Madrid quanto l’età dell’intera squadra (tutti ultratrentenni agli sgoccioli). Occorreva ricostruire e non lo si è fatto, per scelta, fidu-cia e gratitudine. Decisione tutto sommato comprensibile. Meno tol-lerabile la rassegnazione con la quale in casa nerazzurra siano state subite vere e proprie razzie: l’anno scorso Ibrahimovic, quest’anno Mourinho e Balotelli (l’unico giovane e italiano, per giunta). D’altron-de, chissà se trattenendoli si sarebbe potuto allungare il ciclo. Il crol-lo fisiologico quando arriva, arriva, e non c’è presidente, allenatore o giocatore che possa frenarlo. Nonostante ciò, un altro scudetto, forse l’ultimo della serie, resta ampiamente alla portata.
***
“Termometro rossonerazzurro” - Il divario fra le milanesi è più men-tale che concreto. È umorale. Entusiasmi, sensazioni, presentimenti, manie, complessi di inferiorità, angosce, euforia, se vogliamo anche molte chiacchiere da bar, che però incidono. In poche ore l’Inter ha perso Supercoppa e fiducia, nelle stesse ore il Milan ha guadagnato Ibrahimovic, Robinho e convinzione. Il termometro di fine estate dice che l’una scende, l’altra sale. Poi parlerà la classifica.
***
MILAN - È l’antagonista più credibile. Se è vero che la vecchia guar-dia (Nesta, Zambrotta, Gattuso, Pirlo, Ambrosini, Seedorf, Inzaghi) è in là con gli anni, è anche vero che sotto questo aspetto l’Inter non è da meno. Se è vero che il recente mercato grandi firme ha rimpinza-to solo il reparto avanzato, è anche vero che un attacco così (Ronal-dinho, Robinho, Pato, Ibrahimovic) non ce l’ha nessuno.
Una campagna acquisti anomala: in un primo momento si è millan-tata ai quattro venti l’intenzione di prendere un allenatore con un passato assolutamente milanista (Rijkaard, Van Basten, Donadoni, Tassotti, Galli), come se fosse una discriminante imprescindibile, poi si è scelto il signorsì Allegri. Inizialmente si è comprato poco e male (Yepes, Papastathopoulos…), poi, improvvisamente, in 48 ore nette, si è chiuso con i botti. Ad ogni modo, se è vero che Berlusconi ha vo-luto rispondere al malcontento generale gettando fumo negli occhi, non ha tutti i torti quando afferma di aver costruito “una squadra fortissima”. Magari non è “fortissima”, ma può competere ad armi pari con l’Inter, quello sì.
***
JUVENTUS - Una campagna acquisti contraddittoria: sono arrivati ot-timi giocatori (Bonucci, Motta, Aquilani, Pepe, Quagliarella) ma si è speso molto e male. Difficile fare meglio quando non si ha potere di mercato. Per Krasic, una scommessa, si è speso 15,5 milioni e sven-duto Diego. Decisamente più folle la cifra spesa per il modesto e inutile Martìnez: addirittura 12 milioni. Con 18, per dire, si prendeva Robinho. Ma il problema principale è che difficilmente la Juventus at-tuale, nonostante la buona volontà della dirigenza, sarebbe arrivata a trattare un Robinho. Mentre le big (Real Madrid, Barcellona, Inter e Milan) si vendono e scambiano i loro pezzi da novanta (Kakà, Ibra-himovic, Eto’o, Mourinho), la società bianconera è tagliata fuori dai grandi giri e, per fare mercato, deve penare e spendere il doppio. Inizialmente ha provato a puntare in alto (cioè quando circolavano i nomi di Benìtez, Mascherano, Torres, Kuijt, Elia, Diarra, Benzema), incassando una serie imbarazzante di “No”. Allora si è dovuta rivol-gere a Sampdoria, Napoli, Udinese, Bari e Catania. Per un'estate in-tera Marotta ha cercato un terzino sinistro affidabile (alcuni nomi: Kolarov, Bastos, Clichy, Ziegler), alla fine è arrivato il misconosciuto 20enne franco-senegalese Traoré. Idem per il centrale difensivo: do-po aver sondato invano i vari Gallas, Burdisso, Mexès, Kaladze, Tasci e tanti altri, ci si è ridotti ad acquistare Rinaudo (il quale, sino a quel momento, era conteso solo da Bari, Cesena e Lecce).
Tutto sommato, ripetiamo, la squadra che ha costruito la nuova diri-genza bianconera non è male. Non è male, però, se si accetta l’idea di una Juventus diversa da quella a cui eravamo abituati, quella della Fiat e degli Agnelli. Ma erano altri tempi.
***
ROMA - Anche la società giallorossa si è mossa come ha potuto. Ha trattenuto i migliori giocatori (De Rossi, Burdisso, Juan e Mexès su tutti) e ne ha aggiunti altri (Adriano, Borriello). Onestamente, non le si poteva chiedere un mercato più esoso. La squadra è collaudata, esperta, equilibrata (la sola, dei club di testa, a non aver cambiato allenatore). E poi Totti, anche a 34 anni, è sempre Totti. In teoria lo scudetto non sarebbe un obiettivo impossibile, se non fosse che vin-cerlo lontano da Milano (o da quello che un tempo era l’asse Torino-Milano) è difficilissimo: occorre triplicare o quadruplicare le energie, e non ci risulta che questa Roma ne abbia in esubero. Troppo rumo-re, a nostro avviso, attorno all’arrivo di Borriello: un attaccante che in serie A è andato in doppia cifra solo in due stagioni, che segna poco e niente nelle partite importanti e che ai grandi appuntamenti (Nazionale e Champions League) non ha mai convinto. Infatti, dal Mi-lan è sceso alla Roma, dove però potrebbe trovare la sua dimensione.
***
FIORENTINA - Sinceramente alcune scelte di Corvino ci suonano in-comprensibili. D’accordo dover fare i conti con budget risicati, d’ac-cordo anche puntare sui giovani, ma l’impressione è che negli ultimi anni la Fiorentina si sia gradualmente indebolita. Nulla da eccepire se si danno via Toni e Melo per far cassa, ma perché farsi soffiare il buon Ujfalusi a parametro zero? Perché vendere Kuzmanovic ricavan-done solo otto milioni di euro? Perché, con una rosa falcidiata dagli infortuni, lasciar partire l’esperto Jørgensen a metà stagione? Anche quest’anno un mercato luci e ombre. Ineccepibili l’acquisto di D’Ago-stino e le conferme dei promettenti Jovetic e Ljajic, ma perché uti-lizzare il già limitato budget a disposizione comprando un secondo portiere, il pur bravo Boruc, in un ruolo in cui Frey garantisce mas-sima affidabilità?
Ciò che intendiamo dire è che in questi ultimi anni, considerando l’immobilismo del Milan, il declino della Juventus, i problemi societari della Roma e che il ciclo dell’Inter non può durare in eterno, si poteva (sia pur con investimenti minimi e valorizzando i giovani) tentare di ridurre il gap con le grandi. E invece pare sempre di più una Fioren-tina rassegnata a recitare ruoli da comprimaria.
***
NAPOLI / PALERMO / SAMPDORIA - Nella nostra sempre più umile Serie A (saccheggiata com’è da Premier League, Liga e Bundesliga) Napoli, Palermo e Sampdoria sono buone squadre e nulla più. Diffe-renti, però, gli approcci, le pretese e le speranze dei rispettivi presi-denti. De Laurentiis crede ancora di poter portare il Napoli nei quar-tieri molto alti, sogna di entrare nell’élite e forse, solo dopo quest’ul-timo mercato, comincia ad avere il sentore di quanto i suoi progetti siano ambiziosi (anche l’idillio con Mazzarri non sappiamo quanto po-trà durare). Zamparini, sotto questo aspetto, è molto più scafato: bazzica nell’ambiente da un buon ventennio e ormai ha capito come funziona il calcio in Italia. Per carattere sbraita non appena può, ma in cuor suo sa che il Palermo è già tanto dov’è, e che con i potenti è sempre meglio trattare che litigarci. Garrone, dei tre, è il più sobrio: senza troppi proclami ha trattenuto i vari Pazzini e Cassano sperando che la sua Sampdoria riesca a ripetersi.
***
GENOA - Preziosi ha costruito una buona squadra, spendendo molto (Rafinha e Veloso) ma puntando sia sui giovani (Ranocchia su tutti) che sull’usato sicuro (Kaladze e Toni, i quali a Genova potrebbero spendere meglio che altrove gli ultimi sgoccioli di carriera). Sulla carta può puntare ad un piazzamento in Europa League, difficilmente oltre, ma se lassù una delle quattro dovesse steccare… con Sampdo-ria, Napoli e Palermo sarebbe bagarre.
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LAZIO / UDINESE - L’anno scorso Lazio e Udinese hanno rischiato grosso. Nonostante ciò la politica dei due club non cambia. Lotito preferisce il profilo low cost, sì e no un acquisto di rilievo a stagione (Hernanes), ma non basta a vivere un campionato tranquillo. Anche l’Udinese da anni compra solo a buon mercato, andando a scovare illustri sconosciuti ancora imberbi in giro per il mondo. Sino ad ora le è andata bene ma oltre al fiuto (che i dirigenti udinesi hanno dimo-strato di avere) occorre anche una buona dose di fortuna, e una sta-gione disgraziata può capitare a tutti. Si scherza col fuoco.
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PARMA / CAGLIARI - Non dovrebbero aver problemi ad assestarsi a metà classifica. Di prim'acchito, gli emiliani paiono più forti (ma con molte incognite), gli isolani più quadrati e collaudati (ma con un alle-natore esordiente).
***
LE ALTRE - Salvezza abbordabile per il Chievo, che ha una rosa at-trezzata per non penare più del dovuto. Bologna e Bari, invece, do-vranno faticare e non poco per raggiungere l’obiettivo. Ai pugliesi l’anno scorso è andata molto bene, ma quest’anno è un altro anno. Salvezza difficile anche per il Catania (se non altro perché sarebbe la quinta di fila) e per le tre neopromosse. Molto dipenderà anche dal mercato di riparazione invernale, con il presidente Corioni che sicu-ramente si dannerà l’anima pur di salvare il suo Brescia. Sulla carta, Cesena e Lecce sembrano nettamente le più deboli.
Buon campionato.
***Prepariamoci ad un campionato milanocentrico. Anzi, almeno per i prossimi anni, abituiamoci a dar per scontato il milanocentrismo del-la nostra Serie A. Le milanesi, a prescindere dalle rose di cui dispon-gono, hanno società più forti, peso politico e un maggiore potere di acquisto. Le altre arrancano dimenandosi come possono. Più o meno quanto accade in Spagna, con Real Madrid e Barcellona a lasciar bri-ciole. Ma per quanto concerne la Liga il distacco neutrale (alias me-nefreghismo) di noi italioti ci consente di valutare le cose per quel che sono, ciò che invece non sempre accade quando occorre mettere in discussione i propri amati campanili.
Per milioni di juventini è più facile rassegnarsi all’idea di un altro an-no senza tituli (per dirla alla Mourinho) piuttosto che accettare l’as-soluto ridimensionamento del club, e il risultato della domenica ne è solo una conseguenza. La Juventus di oggi (vale a dire questa società in una Torino senza la Fiat e gli Agnelli di una volta) di anno in anno si consolida timida outsider. Come la Roma, che può anche dar del fi-lo da torcere ad una milanese ma sempre outsider resta. E non è det-to che Juventus e Roma non vinceranno più, mai o niente. Capiterà il loro turno, magari una o due volte a decennio, spezzando la routine di un campionato milanocentrico.
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Ora, chiuso il mercato, giudichiamo il campionato al via.
INTER - Il ciclo è bell’e finito. Ad avvalorarne la tesi non tanto un am-biente inevitabilmente sazio e la sconfitta in Supercoppa con l’Atle-tico Madrid quanto l’età dell’intera squadra (tutti ultratrentenni agli sgoccioli). Occorreva ricostruire e non lo si è fatto, per scelta, fidu-cia e gratitudine. Decisione tutto sommato comprensibile. Meno tol-lerabile la rassegnazione con la quale in casa nerazzurra siano state subite vere e proprie razzie: l’anno scorso Ibrahimovic, quest’anno Mourinho e Balotelli (l’unico giovane e italiano, per giunta). D’altron-de, chissà se trattenendoli si sarebbe potuto allungare il ciclo. Il crol-lo fisiologico quando arriva, arriva, e non c’è presidente, allenatore o giocatore che possa frenarlo. Nonostante ciò, un altro scudetto, forse l’ultimo della serie, resta ampiamente alla portata.
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“Termometro rossonerazzurro” - Il divario fra le milanesi è più men-tale che concreto. È umorale. Entusiasmi, sensazioni, presentimenti, manie, complessi di inferiorità, angosce, euforia, se vogliamo anche molte chiacchiere da bar, che però incidono. In poche ore l’Inter ha perso Supercoppa e fiducia, nelle stesse ore il Milan ha guadagnato Ibrahimovic, Robinho e convinzione. Il termometro di fine estate dice che l’una scende, l’altra sale. Poi parlerà la classifica.
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MILAN - È l’antagonista più credibile. Se è vero che la vecchia guar-dia (Nesta, Zambrotta, Gattuso, Pirlo, Ambrosini, Seedorf, Inzaghi) è in là con gli anni, è anche vero che sotto questo aspetto l’Inter non è da meno. Se è vero che il recente mercato grandi firme ha rimpinza-to solo il reparto avanzato, è anche vero che un attacco così (Ronal-dinho, Robinho, Pato, Ibrahimovic) non ce l’ha nessuno.
Una campagna acquisti anomala: in un primo momento si è millan-tata ai quattro venti l’intenzione di prendere un allenatore con un passato assolutamente milanista (Rijkaard, Van Basten, Donadoni, Tassotti, Galli), come se fosse una discriminante imprescindibile, poi si è scelto il signorsì Allegri. Inizialmente si è comprato poco e male (Yepes, Papastathopoulos…), poi, improvvisamente, in 48 ore nette, si è chiuso con i botti. Ad ogni modo, se è vero che Berlusconi ha vo-luto rispondere al malcontento generale gettando fumo negli occhi, non ha tutti i torti quando afferma di aver costruito “una squadra fortissima”. Magari non è “fortissima”, ma può competere ad armi pari con l’Inter, quello sì.
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JUVENTUS - Una campagna acquisti contraddittoria: sono arrivati ot-timi giocatori (Bonucci, Motta, Aquilani, Pepe, Quagliarella) ma si è speso molto e male. Difficile fare meglio quando non si ha potere di mercato. Per Krasic, una scommessa, si è speso 15,5 milioni e sven-duto Diego. Decisamente più folle la cifra spesa per il modesto e inutile Martìnez: addirittura 12 milioni. Con 18, per dire, si prendeva Robinho. Ma il problema principale è che difficilmente la Juventus at-tuale, nonostante la buona volontà della dirigenza, sarebbe arrivata a trattare un Robinho. Mentre le big (Real Madrid, Barcellona, Inter e Milan) si vendono e scambiano i loro pezzi da novanta (Kakà, Ibra-himovic, Eto’o, Mourinho), la società bianconera è tagliata fuori dai grandi giri e, per fare mercato, deve penare e spendere il doppio. Inizialmente ha provato a puntare in alto (cioè quando circolavano i nomi di Benìtez, Mascherano, Torres, Kuijt, Elia, Diarra, Benzema), incassando una serie imbarazzante di “No”. Allora si è dovuta rivol-gere a Sampdoria, Napoli, Udinese, Bari e Catania. Per un'estate in-tera Marotta ha cercato un terzino sinistro affidabile (alcuni nomi: Kolarov, Bastos, Clichy, Ziegler), alla fine è arrivato il misconosciuto 20enne franco-senegalese Traoré. Idem per il centrale difensivo: do-po aver sondato invano i vari Gallas, Burdisso, Mexès, Kaladze, Tasci e tanti altri, ci si è ridotti ad acquistare Rinaudo (il quale, sino a quel momento, era conteso solo da Bari, Cesena e Lecce).
Tutto sommato, ripetiamo, la squadra che ha costruito la nuova diri-genza bianconera non è male. Non è male, però, se si accetta l’idea di una Juventus diversa da quella a cui eravamo abituati, quella della Fiat e degli Agnelli. Ma erano altri tempi.
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ROMA - Anche la società giallorossa si è mossa come ha potuto. Ha trattenuto i migliori giocatori (De Rossi, Burdisso, Juan e Mexès su tutti) e ne ha aggiunti altri (Adriano, Borriello). Onestamente, non le si poteva chiedere un mercato più esoso. La squadra è collaudata, esperta, equilibrata (la sola, dei club di testa, a non aver cambiato allenatore). E poi Totti, anche a 34 anni, è sempre Totti. In teoria lo scudetto non sarebbe un obiettivo impossibile, se non fosse che vin-cerlo lontano da Milano (o da quello che un tempo era l’asse Torino-Milano) è difficilissimo: occorre triplicare o quadruplicare le energie, e non ci risulta che questa Roma ne abbia in esubero. Troppo rumo-re, a nostro avviso, attorno all’arrivo di Borriello: un attaccante che in serie A è andato in doppia cifra solo in due stagioni, che segna poco e niente nelle partite importanti e che ai grandi appuntamenti (Nazionale e Champions League) non ha mai convinto. Infatti, dal Mi-lan è sceso alla Roma, dove però potrebbe trovare la sua dimensione.
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FIORENTINA - Sinceramente alcune scelte di Corvino ci suonano in-comprensibili. D’accordo dover fare i conti con budget risicati, d’ac-cordo anche puntare sui giovani, ma l’impressione è che negli ultimi anni la Fiorentina si sia gradualmente indebolita. Nulla da eccepire se si danno via Toni e Melo per far cassa, ma perché farsi soffiare il buon Ujfalusi a parametro zero? Perché vendere Kuzmanovic ricavan-done solo otto milioni di euro? Perché, con una rosa falcidiata dagli infortuni, lasciar partire l’esperto Jørgensen a metà stagione? Anche quest’anno un mercato luci e ombre. Ineccepibili l’acquisto di D’Ago-stino e le conferme dei promettenti Jovetic e Ljajic, ma perché uti-lizzare il già limitato budget a disposizione comprando un secondo portiere, il pur bravo Boruc, in un ruolo in cui Frey garantisce mas-sima affidabilità?
Ciò che intendiamo dire è che in questi ultimi anni, considerando l’immobilismo del Milan, il declino della Juventus, i problemi societari della Roma e che il ciclo dell’Inter non può durare in eterno, si poteva (sia pur con investimenti minimi e valorizzando i giovani) tentare di ridurre il gap con le grandi. E invece pare sempre di più una Fioren-tina rassegnata a recitare ruoli da comprimaria.
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NAPOLI / PALERMO / SAMPDORIA - Nella nostra sempre più umile Serie A (saccheggiata com’è da Premier League, Liga e Bundesliga) Napoli, Palermo e Sampdoria sono buone squadre e nulla più. Diffe-renti, però, gli approcci, le pretese e le speranze dei rispettivi presi-denti. De Laurentiis crede ancora di poter portare il Napoli nei quar-tieri molto alti, sogna di entrare nell’élite e forse, solo dopo quest’ul-timo mercato, comincia ad avere il sentore di quanto i suoi progetti siano ambiziosi (anche l’idillio con Mazzarri non sappiamo quanto po-trà durare). Zamparini, sotto questo aspetto, è molto più scafato: bazzica nell’ambiente da un buon ventennio e ormai ha capito come funziona il calcio in Italia. Per carattere sbraita non appena può, ma in cuor suo sa che il Palermo è già tanto dov’è, e che con i potenti è sempre meglio trattare che litigarci. Garrone, dei tre, è il più sobrio: senza troppi proclami ha trattenuto i vari Pazzini e Cassano sperando che la sua Sampdoria riesca a ripetersi.
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GENOA - Preziosi ha costruito una buona squadra, spendendo molto (Rafinha e Veloso) ma puntando sia sui giovani (Ranocchia su tutti) che sull’usato sicuro (Kaladze e Toni, i quali a Genova potrebbero spendere meglio che altrove gli ultimi sgoccioli di carriera). Sulla carta può puntare ad un piazzamento in Europa League, difficilmente oltre, ma se lassù una delle quattro dovesse steccare… con Sampdo-ria, Napoli e Palermo sarebbe bagarre.
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LAZIO / UDINESE - L’anno scorso Lazio e Udinese hanno rischiato grosso. Nonostante ciò la politica dei due club non cambia. Lotito preferisce il profilo low cost, sì e no un acquisto di rilievo a stagione (Hernanes), ma non basta a vivere un campionato tranquillo. Anche l’Udinese da anni compra solo a buon mercato, andando a scovare illustri sconosciuti ancora imberbi in giro per il mondo. Sino ad ora le è andata bene ma oltre al fiuto (che i dirigenti udinesi hanno dimo-strato di avere) occorre anche una buona dose di fortuna, e una sta-gione disgraziata può capitare a tutti. Si scherza col fuoco.
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PARMA / CAGLIARI - Non dovrebbero aver problemi ad assestarsi a metà classifica. Di prim'acchito, gli emiliani paiono più forti (ma con molte incognite), gli isolani più quadrati e collaudati (ma con un alle-natore esordiente).
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LE ALTRE - Salvezza abbordabile per il Chievo, che ha una rosa at-trezzata per non penare più del dovuto. Bologna e Bari, invece, do-vranno faticare e non poco per raggiungere l’obiettivo. Ai pugliesi l’anno scorso è andata molto bene, ma quest’anno è un altro anno. Salvezza difficile anche per il Catania (se non altro perché sarebbe la quinta di fila) e per le tre neopromosse. Molto dipenderà anche dal mercato di riparazione invernale, con il presidente Corioni che sicu-ramente si dannerà l’anima pur di salvare il suo Brescia. Sulla carta, Cesena e Lecce sembrano nettamente le più deboli.
Buon campionato.